The School of Darkness – 5 – Il viaggio in Europa
Martedì, 18 settembre / 2018
– di Bella Visono Dodd –
Traduzioni dall'originale "The School of Darkness" a cura di Sergio Basile / Qui Europa
Redazione Quieuropa, Sergio Basile, Bella Dodd, Comunismo, Europa, Nazismo, Fascismo
The School of Darkness – La Scuola delle Tenebre / 5°
Capitolo 5° – Il viaggio in Europa
The School of Darkness, Ed. P.J. Kennedy & Sons, New York, 1954
(Traduzione dall'originale a cura di Sergio Basile)
di Bella V. Dodd
Traduzioni dall'originale "The School of Darkness" a cura di Sergio Basile
Capitolo Quinto
New York – di Bella V. Dodd / Traduzioni dall'originale "The School of Darkess" a cura di Sergio Basile – (Continua da qui The School of Darkness – 1 – 2 – 3 – 4) – Dall’autunno del 1927 al giugno 1930, frequentai la New York University Law School e insegnai all'Hunter College, si trattò di un periodo in cui fui profondamente coinvolta nelle attività degli studenti nel mio college, del quale non fui solo insegnante ma anche consigliere di molti di loro, sia individualmente che nelle attività di gruppo. Come giovane insegnante, preoccupata dalle correnti conflittuali tra gli intellettuali, mi rivolsi a Sarah Parks per consigli e chiarimenti. L'insegnante che avevo ammirato da studentessa universitaria era coinvolta in polemiche sulle politiche salariali e promozionali del college. Allora quei temi non mi interessavano, perché amavo così tanto la mia posizione di insegnante che le polemiche sugli stipendi mi sembravano secondarie. Sarah invece era infervorata per le disuguaglianze di grado e di stipendio e per il suo bene cercai di interessarmi a queste cose. Fu un periodo in cui incontrai uomini e donne che seguivano idee e vivevano vite non ortodosse. Fu un periodo in cui l'amore per la letteratura, le arti e l'interesse per la rivoluzione russa divennero la scusa per lasciare casa e vivere in piccoli appartamenti angusti nel Greenwich Village. A quel tempo passavamo lunghe ore, notte dopo notte, seduti davanti ai camini in una soffitta del villaggio, parlando all'infinito. Sarah era stata una di noi, ma ora il suo coinvolgimento con la politica del college era sfociata in disperazione. Non ritenevo che la situazione giustificasse i suoi eccessi emozionali. Non sapevo che anch'io avrei seguito le sue orme. In quel momento sentii solo che tutto ciò che faceva nella sua vita la stava catapultando violentemente in un grande vuoto. Tendevo a ritirarmi dalla nostra stretta amicizia e a coltivare nuovi amici che costituivano le fondamenta che lei stessa aveva contribuito a stabilire.
Il suicidio di Sarah Parks
Quando nel gennaio del 1928 si suicidò, fui gettata in una spirale emotiva. Mi sentii in colpa per non aver passato più tempo con lei. Pensavo di averla delusa. Ero amareggiata da quelli del college a cui si era rivolta per affetto e che, invece, le avevano chiuso la porta. La sua morte ebbe un profondo effetto su quelli tra noi che lei aveva influenzato. Sentivamo che Sarah aveva avuto il coraggio intellettuale di credere nella nuova nascente società collettiva, ma non l'audacia pratica necessaria per diventare un membro disciplinato del gruppo. Sentivamo che lei pensava come una collettivista, ma che combatté e visse come un’individualista e nella nostra impietosa analisi della sua vita, questo era stato il suo fallimento.
Non ci rendevamo conto che la vita era diventata insopportabile per lei
a causa del disordine del suo pensiero
che inevitabilmente l'avrebbe portata all'autodistruzione.
Attenta a non continuare sulla strada che portò al suo suicidio, dovetti intraprendere una strada più lunga, più ingannevole ma parallela, fino all'annientamento. Mi rifiutai di tornare sui miei passi e riconoscere i miei errori. Non sapevo che questo avrebbe potuto portare solo disarmonia, confusione e sconfitta. Gli anni 1928 e 1929 furono pieni di confusione e bruttezza. Mi rifugiai sempre di più nella letteratura della disperazione. Provai a scrivere, ma scoprii che la mia confusione interiore si rifletteva sul mio lavoro. Per la prima volta nella mia vita guardai al futuro con apprensione. Nulla sembrava gratificarmi. Il mio lavoro presso la scuola di legge era mediocre. All'Hunter College le lezioni stavano diventando più impegnative e gli studenti che venivano da noi dalle scuole superiori non erano ben preparati. Il senso di dedizione all'apprendimento si stava affievolendo. Molti si iscrivevano all'università solo per adempiere il desiderio dei loro genitori, il desiderio moderno degli ignoranti determinati a far sì che i loro figli avessero un'istruzione universitaria. Ero consapevole del fatto che una massa crescente di giovani entrassero all'università quasi automaticamente dopo aver frequentato le scuole medie e superiori. Ero consapevole dell'abbassamento degli standard qualitativi. Si pensava poco al significato e allo scopo di un'educazione universitaria e praticamente non si pensava al ruolo delle libere università statali.
In viaggio per il Vecchio Continente
Durante la primavera del 1930 iniziai i corsi di Medina Cram e preparai l'esame per l'ammissione al New York Bar. Dopo la fine dell’esame chiesi un permesso di congedo dal college e con la mia amica Beatrice partii per l'Europa. In modo sciocco, speravo di trovare lì risposte che non trovavo a casa. Ero stanca e irrequieta. Volevo scappare da ogni senso di responsabilità. Ero giovane e volevo godermi la vita. Fu un viaggio ricco di nuove conoscenze. Grazie alla capacità di socializzare facilmente conobbi persone interessanti in ogni ambito della vita nei diversi paesi che visitammo. Fu in questo viaggio che incontrai il mio futuro marito, John Dodd. Atterrammo ad Amburgo. La trovai una città interessante, piena di marinai, scaricatori di porto, soldati. C'erano i nuovi benestanti con le tasche piene della ricchezza del paese. C'erano comunisti ovunque e in marcia, incontrandosi, cantavano. C'erano decadenti ed audaci locali notturni. C'erano anche vecchi ristoranti, vecchie case e chiese e altre testimonianze di un tempo ormai andato. Era una città di contrasti. Troppo spesso ci trovavamo al cospetto di tedeschi della classe media con facce smunte e tirate, pronte, quando notavano simpatia, a raccontarti i loro problemi. La cosa che mi colpii fu la loro perplessità. Non capivano né la causa della loro situazione, né dove stavano andando. Li guardammo e ascoltammo le loro storie. Ma eravamo americani pieni di dollari nelle borse, intenzionati a divertirci. A Berlino vedemmo più volti accigliati, smunti e, d’altra parte, più sfacciati sfarzi.
Eravamo sconcertate dal degrado sessuale e morale ostentato nei locali notturni
e presentato ai turisti di tutto il mondo.
L'atmosfera della città sembrava carica come l'aria prima di una tempesta elettrica.
Incontrai alcuni dei miei amici dell'Hunter College all'Università di Berlino ed avemmo l'opportunità di confrontarci su ciò che stava succedendo nei luoghi dell'apprendimento. Parlammo con studenti universitari e professori. L'università era dilaniata dai conflitti.
Socialisti, comunisti, nazionalsocialisti si stavano combattendo a vicenda
e congiuntamente si scagliavano contro chi si considerava conservatore,
attaccato al proprio paese dall'amore naturale della propria patria.
Nel degrado di Berlino
Gli atti di violenza erano comuni nella città e nei dintorni dell'università. Ero consapevole del fatto che le questioni politiche fossero per loro una questione di vita o di morte. Ero anche consapevole del fatto che intellettuali, insegnanti, professori e scienziati fossero arrogantemente chiusi nel loro orgoglio e mancavano del desiderio interiore di svolgere un ruolo salutare nell'ora del bisogno del paese.
Erano uomini di altissimo livello intellettuale,
ma erano pronti ad attaccarsi alle forze della violenza.
Allora non mi resi conto, come faccio ora, che per quasi un secolo
il mondo giudiziario tedesco era stato sottoposto a una sistematica despiritualizzazione
che poteva risultare solo nella disumanizzazione ora evidente.
Ciò rese possibile il fatto che uomini così despiritualizzati avessero potuto servire
sia il potere nazista, prima, che il potere comunista, dopo,
con una lealtà ed efficienza spietate.
In Germania discutevo spesso della crescente ondata di conflitti, ma su una cosa i professori e gli studenti erano d'accordo: il fascismo non sarebbe mai potuto venire in Germania. Era possibile in Italia, dissero, a causa della mancanza di istruzione generale, una cosa del genere non poteva accadere in Germania. Due istituzioni avrebbero impedito questo: le grandi università tedesche e il servizio civile tedesco. Quando, contrariamente alle loro dichiarazioni, accadde in Germania, le due grandi istituzioni che crollarono prima di tutte furono le università tedesche e il servizio civile tedesco. Dovevano servire il Fuhrer, ed era da loro che dovevamo imparare la lezione che l'istruzione in sé e per sé non è un deterrente alla distruzione di una nazione. Le vere domande da porre erano: che tipo di educazione? a quale scopo? con quale obiettivo? sotto quali standard?
Via da Berlino… verso Dresda e Vienna
Ero felice di lasciare Berlino, insistendo per un itinerario che non era nei nostri programmi. Fino ad allora mi ero rifiutata di passare molto tempo nei musei e nelle chiese, ma ora volevo andare a Dresda e vedere la Madonna Sistina (dipinto a olio su tela di Raffaello, databile al 1513-1514, e conservato nella Gemäldegalerie di Dresda – Ndt). Valeva la pena il lungo viaggio per vedere l'adorabile Vergine col Bambino e i cherubini ai loro piedi che sembravano dei piccoli allegri monelli. Il giorno che trascorsi a Dresda fu il mio più felice in Germania. Non vedevo l'ora di visitare Vienna. Fu una fortuna che Beatrice avesse parenti nella favolosa capitale degli Asburgo. Ma
ancora una volta fummo colpiti dal dolore nelle facce bianche e smunte degli austriaci.
Indossammo i nostri abiti più semplici per non offendere le persone incontrate. Volevamo andare all'opera, ma in un atto di rinuncia decidemmo di non farlo perché avevamo visto uomini e donne che amavano la musica stare fuori dal teatro dell'opera, mentre turisti e profittatori prenotavano i posti. Lo zio di Beatrice, che era stato consigliere finanziario nel regime di Francesco Giuseppe, ci intratteneva portandoci in alcuni famosi caffè. Mentre parlava della storia di Vienna, mi resi conto che amava profondamente la città, ma capii che essa stava morendo. Ci disse che aveva preso accordi per portare la sua famiglia in Uruguay.
Ancora una volta fui colpita dal fatto che
coloro i quali deploravano la perversione che aleggiava su di loro
non avevano modelli per mobilitarsi e riprendersi. Erano spaventati.
Avvertivano il senso del dolore del mondo e il desiderio di tornare al passato,
ma non avevano la minima consapevolezza di dove stessero andando.
Finalmente in Italia
Dall'Austria andammo in Italia. Avevo atteso con malcelata eccitazione un ritorno alla mia terra natia. Mi aspettavo che il senso di non appartenenza che avvertivo d'improvviso sarebbe potuto svanire. Stavo contando su una trasformazione mistica. Attraversammo il confine e l'ispettore doganale frugò nel nostro bagaglio. Arrivammo a Venezia e andammo in un albergo con un nome tedesco.
Cercai invano di trovare l'Italia che la mia memoria aveva custodito
e la mia immaginazione aveva abbellito, idealizzato.
Venezia era una città altamente sofisticata, frivola, fragile, materialista. Era invasa da uomini in uniforme. Praticamente una persona su tre era un soldato. Andai al Duomo, ma non mi entusiasmò per i servizi. Era affollato da gente ben vestita, proveniente da tutte le nazioni. Fuori i mercanti trafficavano subdolamente con i ricchi turisti.
La qualità spirituale e meditabonda dell'Italia che avevo molto apprezzato
non si vedeva da nessuna parte e mi resi conto che non appartenevo più
al paese che avevo lasciato da bambina.
Ora vedevo la prova tangibile del degrado della filosofia fascista.
Come studente dell'Hunter College, nei primi anni venti, mi ero dichiarata antifascista in un periodo in cui non era di moda farlo. Era stata una dichiarazione emotiva contro quei compiaciuti membri della società che parlavano delle meraviglie che il fascismo aveva compiuto per l'Italia. Sentivo che erano più interessati agli orari dei treni e ai servizi igienico-sanitari che alla bellezza della sua cultura e all'anima della sua gente. Tuttavia, quando arrivammo a Firenze, scoprii che persino il fascismo non era in grado di corrodere i simboli incredibilmente belli del passato. Mi piacque molto ritrovarmi a Firenze. La delicata restrizione dei suoi paesaggi e della sua architettura sembrava riflettere il carattere delle persone stesse. Mi trovai in piedi nelle piazze pubbliche e osservavo i volti di quelli che passavano, colpita dal fatto che la commessa più semplice sembrava una delle modelle di Raffaello. Mi incuriosì sempre cogliere le diversità e la bellezza della cultura antica delle città italiane. Venezia era diversa da Firenze. Verona e Bologna erano un mondo a parte rispetto a Roma.
Oggi, quando si parla così tanto e con cotanta adorazione di cultura di massa
o ci si spaventa dell'accettazione dell’idea di un unico governo mondiale,
guardo indietro alla gioia che promanava dalla cultura del passato
di queste piccole città-stato
e mi chiedo se l'arte e l'architettura dei nostri giorni
raggiungeranno mai la bellezza di quella di quei tempi andati.
Roma e la prova della rottura col passato
Quando raggiunsi Roma
ero più interessata alle rovine dei templi classici
che ai monumenti simbolo dello spirito vivente del cuore del cristianesimo.
Era la prova di quanto io,
attraverso la mia educazione e il mio perverso orgoglio mentale,
mi fossi allontanata dal passato della mia stessa gente e dalla saggezza e sicurezza
accumulate in duemila anni di Cristianesimo
e di come tali ataviche prerogative (smarrite – Ndt)
avessero potuto salvaguardare i figli moderni di tutto l’Occidente.
Guidai per miglia e miglia al sole caldo per visitare la tomba del poeta Orazio e passai ore alle Terme di Caracalla e presso altre rovine dell'antichità, e in una notte illuminata dalla luna guardai con ammirazione i livelli sfalsati del Colosseo avvertendo tutto il senso del tempo passato. Visitai il Vaticano e alcune chiese, ma la verità è che le visitai in gran parte per i loro inestimabili tesori artistici, cieca dinanzi al loro reale significato. A Roma il potere dello stato fascista era evidente ovunque e si coglieva soprattutto dall’impressionante numero di uomini in uniforme. All'improvviso pensai a mia madre e al suo disprezzo contadino per le forze armate. "Vivono tutti sulle nostre spalle", era solita dire. E ora pensavo all'Italia come a una dolorosa schiena che trasportava la vasta schiera di funzionari e soldati del governo. Avevo deciso di visitare la città in cui ero nata per vedere i miei genitori adottivi, con cui avevamo perso il contatto nel corso degli anni. Tuttavia, quando raggiunsi Napoli ci fu la notizia di un terremoto, quindi tornammo a Firenze e da lì nel sud della Germania per una breve visita.
Ritorno a New York e adesione al Teachers Union
Successivamente Beatrice e io andammo insieme a Parigi, dove raccolsi la mia posta presso l'ufficio dell'American Express. Ruth aveva telegrafato: "Hai superato entrambe le parti dell'esame del Bar." Avevano scritto anche mia madre e mio padre: "Torna a casa, siamo soli senza di te". Sulla nave, di ritorno a casa, incontrai un gruppo di insegnanti di New York, che dissero di far parte dell'Unione degli Insegnanti. Ci catechizzarono sull’importanza di coinvolgere gli insegnanti all'interno del movimento sindacale e ci esortarono a far parte dell'Unione. Quando sottolineai il fatto che la loro unione abbracciasse in gran parte insegnanti di scuola pubblica e che non pensavo che gli insegnanti universitari avessero posto in quel contesto, i persistenti reclutatori mi assicurarono che i cervelli e gli organizzatori originari della Federazione americana degli insegnanti erano insegnanti universitari. Promisi di unirmi al sindacato come prova della mia volontà di partecipazione attiva alla causa della classe lavoratrice, anche se non pensavo che l'Unione potesse essermi di aiuto a livello personale. Al mio ritorno a New York andai alle riunioni della Teachers Union. Li trovai sconcertanti perché c'era tanta lotta e competizione intestina tra i gruppi che cercavano di ottenere il controllo del sindacato. Allora non capivo perché adulti intelligenti dovessero lottare così duramente per controllare un'organizzazione numericamente piccola e insignificante. Ero sorpresa di trovare i nomi di illustri professori come John Dewey e George Counts coinvolti nella polemica. Solo più tardi, quando compresi meglio la politica di sinistra, fui consapevole dell'importanza strategica del controllo di questa testa di ponte. (continua…).
Bella V. Dodd / New York 1954
Traduzioni dall'originale "The School of Darkness" a cura di Sergio Basile / Qui Europa
N.B.: i titoli dei sottoparagrafi sono stati aggiunti dal traduttore e non sono presenti
nella versione originale in lingua inglese
(Copyright © 2018 Qui Europa) partecipa al dibattito: infounicz.europa@gmail.com
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Sabato, 26 maggio/ 2018 – Articolo estratto da Chiesa viva n° 125 / Premessa a cura di Sergio Basile – Redazione Quieuropa, San Massimiliano Kolbe, Protocolli dei Savi di Sion, massoni, sionismo Padre Kolbe e i Protocolli dei Savi Anziani di Sion: il libro fondamentale della massoneria Nei Protocolli è rimarcata la strategia farisaica dell'ebraismo: utilizzare la massoneria e […]
25 maggio 2018Read More
Sabato, Febbraio 21st / 2015 – di Sergio Basile – Redazione Quieuropa, Albert Pike, Giuseppe Mazzini, Massoneria, Lucifero, Scontro tra civiltà, Jacob Bohme, Swedenborg, Saint-Martin, Epiphanius, William Guy Carr, Sistema Bancario Internazionale, Cabala, Satana, sterco del demonio, moneta-debito, Giudeo massoneria e Nuovo Ordine Mondiale L'attuale scontro fomentato tra civiltà e religioni pianificato in 2 lettere del 187o e '71 La confessione […]
21 febbraio 2015Read More#
Giovedì, 12 ottobre / 2017 – Lettera di Baruch Levy (rabbino) a Karl Marx – Documento ritrovato nel 1888 pubblicato in "La Revue de Paris – 1° giugno 1928 – Pag. 574 […]
12 ottobre 2017Read More#