Sabato, Febbraio 20th, 2016
– di Paolo Baroni, Centro San Giorgio –
Martedì, 26 Luglio/ 2016
– di Roberto Pecchioli / Premessa e contributi di Sergio Basile –
Redazione Quieuropa, Roberto Pecchioli, Sergio Basile, Liberal capitalismo, Social Comunismo, Europeismo, Comunitarismo, Ratzinger, Nuovo Ordine Mondiale, Fabian Society, Fabianesimo, Comunismo, Talmudismo, Unione europea, filo-sionismo, Capitalismo Zelig, sharing economy, economia di condivisione, imbroglio liberista
Capitalismo Zelig: l'altra faccia mondialista del
social-comunismo
Le svolte imperialiste dell'attuale assetto economico-sociale
europeo sono figlie "moderne" della stessa mente
Sharing Economy: l'ultimo imbroglio liberista
di Roberto Pecchioli / e Sergio Basile
Premessa di Sergio Basile, Direttore "Qui Europa"
Premessa – Convergenza tra social-comunismo e liberal-capitalismo
Roma – di Sergio Basile – Oggi si parla molto di sharing economy e "consumo collaborativo", quale panacea ai mali della società moderna, globalizzata egoista e accentratrice, senza considerare le pesanti relazioni esistenti tra i fautori della stessa sharing economy e i falsi profeti del social comunismo; cioé la coincidenza sostanziale tra liberal-capitalismo (vero motore delle piattaforme della sharing economy) e socialismo, politico ed economico: mostri propinanti un messianismo terreno che vorrebbe ridurre tutto ad economia e materia, bandendo tutte le altre categorie morali e spirituali; chiudendo fuori dalla casa europea il "bene comune" della collettività; obliando le radici spirituali, cristiane, della "Vecchia Europa", che hanno da sempre visto la difesa della proprietà economica come una dei pilastri dello sviluppo. Nella prefazione al libro "Nuovo Disordine Mondiale", di Mons. Schooyans, in data 25 aprile 1997, il cardinal Joseph Ratzinger scriveva: "Sin dagli inizi dell'Illuminismo, la fede nel progresso ha sempre messo da parte l'escatologia cristiana, finendo di fatto per sostituirla completamente. La promessa di felicità non è più legata all'aldilà, bensì a questo mondo. Emblematico della tendenza dell'uomo moderno è l'atteggiamento di Albert Camus, il quale alle parole di Cristo "il mio regno non è di questo mondo" oppone con risolutezza l'affermazione "il mio regno è di questo mondo". Questo Eden terreno, di chiara matrice cabalistico-talmudica, ha di fatto due motori propulsivi, due facce della stessa medaglia, il liberal capitalismo e il social comunismo, entrambe protese all'espropriazione dell'universalità dei beni dei popoli.
Libero mercato, Stato e Comunitarismo
L'espressione del primo mostro è il cosiddetto "libero-mercato", dominato da lobbies e multinazionali (con la devota assistenza della piramide bancaria), mentre il parto del secondo è lo Stato-dio (e il contestuale capitalismo di Stato): entrambi, dopo le grandi rivoluzioni dell'era moderna, concentrati e controllati da una cerchia di "cosiddetti eletti", alla ricerca folle e compulsiva della realizzazione di un messianismo terreno che non conosce limiti e freni morali. Il punto di contatto ideologico tra i due mostri, aventi un unico corpo "mistico" ed apparentemente posti in antitesi, è il talmudismo giudeo-massonico. Quello "tecnico-politico" è probabilmente il comunitarismo, avente Londra quale incubatrice ideale, assieme a Parigi e Bruxelles quali nuovi centri continentali di accentramento imperialistico. Il Super-stato Ue del TTIP e del TISA (1), infatti, non fa che avallare e difendere questo crimine ideologico bipolare. Molto illuminante, per la comprensione delle premesse comunitariste all'evoluzione del progetto di accentramento europeista è – suo malgrado – il libro "Il socialismo al bivio: l'archivio di Giuseppe Faravelli, 1945-1950", considerata l'opera di punta di uno dei padri del socialismo italiano ed europeo.
(1) Vedi qui: TTIP e TISA: i trattati Usa-Ue che uccidono la politica e la sovranità – 1
TTIP e TISA: annullamento totale della volontà popolare e legalizzazione del crimine – 2
L'Ue social-comunista e liberal-capitalista – Le Origini
I carteggi pubblicati in questo volume degli "Annali", dei quali ci occupammo in un articolo del 2014 (2), sono stati conservati da Giuseppe Faravelli e rappresentano una delle più ricche e preziose documentazioni sul socialismo italiano dal 1945 al 1950, vale a dire dalla Resistenza alla Guerra Fredda. Si legge nell'introduzione all'opera: "Attraverso un rapporto epistolare senza reticenze e diplomatismi è possibile ricostruire la trama e le motivazioni profonde dello scontro drammatico all'interno del PSI (allora PSIUP) e della Sinistra sul dilemma autonomia socialista/partito unico socialcomunista, che porterà alla scissione di Palazzo Barberini, e sul dilemma Fronte Popolare/Unità socialista che caratterizzerà il 18 Aprile 1948 e gli anni successivi. In modo particolare è possibile riscoprire (….) i dirigenti del sindacalismo americano (….) coinvolti nella partita che ha per posta l'Europa, la collocazione internazionale dell'Italia, le scelte della sinistra, la posizione del sindacato, la fine dell'alleanza antifascista, la possibilità o meno di una "terza via" europea e socialista". Ne "Il Socialismo al Bivio" (Pag. 20) è riportata una lettera di Ernesto Rossi (politico e giornalista italiano antifascista e radicale) all'amico Giuseppe Favarelli, datata 16 Marzo 1945 ed inviata da Ginevra durante il confino in Svizzera. In essa emerge innanzitutto l'avvenuta fusione tra PC e Socialisti (PS), poi le simpatie per il partito laburista inglese, diretta derivazione della Fabian Society : "se fossi in Inghilterra – confessa Rossi a Favarelli – troverei il mio posto nel partito laburista. Mi trovo completamente d'accordo – continua – col Socialist Vanguard Group che pubblica la rivista "Socialist Commentary" ed ho molta stima per il "New Statesman" e per la "Fabian Society" (3). Dichiarazione d'amore che non lascia molto spazio alle congetture e all'immagiazione.
(2) Vedi qui: L'Europeismo è la distruzione dell'Europa
(3) Affiliazione filo-massonico dalla quale nacquero i principali club mondialisti (Table Round), artefici occulti delle attuali legislazioni iperliberiste e globalizzanti
Dal Comunitarismo al Socialismo, da Kalergi al Manifesto di Ventotene
Ne "Il Socialismo al Bivio" spicca tra le altre la figura di primo piano di Ernesto Rossi, tra i padri promotori (con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni) del federalismo europeo, cioè del progetto d'ispirazione massonico-sionista chiamato "Unione europea", ripreso e attualizzato da Kalergi (4), destinato a confluire – in un livello successivo – in un progetto ancor più totalizzante, rigorosamente iper-liberista, chiamato "Stati Uniti d'Europa". Ernesto Rossi condivise con Altiero Spinelli, inoltre, la stesura del "Manifesto di Ventotene", considerato "il suo libro più importante, nonché il suo testamento morale" (5).
(4) Vedi qui: Kalergi, Comenius e Saint-Yves: i Padri del Nuovo Dis-Ordine Europeo
Le Forze Occulte della Sovversione: Giudaismo, Massoneria, Liberalismo & Bolscevismo
Il Piano Kalergi – Quello che Nessuno ti ha mai detto sull’Europa
Europeismo, Federalismo e Mondialismo: facce della stessa medaglia
(5) Cfr.: A. Spinelli, Il Manifesto di Ventotene, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 1-3; Cfr. anche: E. Rossi, «Alleanza atlantica o neutralità?», in Il Ponte, XX, 1964, n. 4; A. Spinelli, Diario europeo. 1948-1969, Bologna, Il Mulino; G. Spadaccia, «Ernesto Rossi. La battaglia federalista (a colloquio con Altiero Spinelli)», in L’Astrolabio, V, 1967
Dal Piano Kalergi all'iperliberismo europeista (TTIP)
Oggi, non a caso l'Ue, d'estrazione social-comunista, nata col grande commissariamento del carbone e dell'acciaio realizzato dalla CECA (6), è il paradiso dei lobbisti e degli speculatori (della City of London e dintorni), ovvero dei liberisti: proprio l'Ue – pro-Israele, filo-talmudica (quanto a humus ideologico-religioso), filo-massonica, filo-sionista, social-comunista e liberal-capitalista – è in sé, una delle molteplici prove regina della convergenza evidentissima tra liberismo e social-comunismo, nonche della coincidenza tra il social-comunismo e il mondialismo massonico. L'assetto attuale del mondo e dell'Europa, non è altro che il risultato di questo folle credo, spesso ben camuffato da stampa e intellettuali di regime.
(6) Il modello di riferimento più vicino all'attuale piano mondialista e federalista denominato "Stati Uniti d'Europa", resta l'URSS. Ricordiamo, in merito, come il primo a coniare e sdoganare il cncetto di "commissione", dal quale possiamo far derivare le origini dell'attuale istituzione comunitaria che si arroga senza alcuna legittimità popolare il potere esecutivo, fu Lenin. Egli creò la CEKA con decreto del 20 Dicembre 1917: la prima commissione speciale, non eletta dal popolo, con poteri straordinari. La Commissione UE sembra aver preso molto dal metodo CEKA: non a caso la CECA fu il primo embrione di Comunità europea, nata con l'obiettivo del commissariamento delle fonti energetiche primarie degli stati (carbone e l'acciaio).
Sergio Basile (Copyright © 2016 Qui Europa)
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Capitalismo Zelig: l'inganno della Sharing
Economy
di Roberto Pecchioli (con contributi di Sergio Basile)
Capitalismo Zelig: cambiano i nomi, la sostanza è la stessa
Roma – di Roberto Pecchioli – Ho dodici anni. Vado alla sinagoga. Chiedo al rabbino qual è il significato della vita. Lui mi dice qual è il significato della vita. Ma me lo dice in ebraico. Io non lo capisco, l'ebraico. Lui chiede 600 dollari per darmi lezioni di ebraico. “ Questa è forse il passaggio più significativo del film dell'ebreo Woody Allen, Zelig. Il protagonista, Leonard Zelig, che in lingua yiddish significa benedetto, soffre di un’ignota malattia che induce profonde trasformazioni psicosomatiche dinanzi ai suoi interlocutori. In pratica, Leonard si trasforma nella persona che ha di fronte, assumendone la personalità e l’aspetto. L’autentico Zelig del nostro tempo è il liberal capitalismo, e con il raffinato umorismo intriso di intelligenza degli ebrei colti , Woody Allen ne ha forse centrato l’essenza (sia pur parziale – Ndr) in quella frase messa in bocca al suo personaggio, sin da bambino consapevole che il senso della vita, se ne esiste uno, ha una tariffa precisa. Non vi è fenomeno della contemporaneità che non confermi tale convinzione. Il successo più clamoroso fu l’aver ricondotto le convulsioni del 1968 ad una trasformazione interna a se stesso: un nuovo capitalismo libertario, antiborghese e globalista. Lo stesso propagandato "pseudo crollo del comunismo" (in realtà mai crollato, ma allargatosi a tutto il globo – Ndr) sarebbe stato giustificato dal "desiderio di consumo" e di libertà negativa ( libertà “da”) delle masse "ex socialiste" dell’Europa Orientale, cui il capitalismo ha offerto (iu un'altra salsa – Ndr) il proprio modello di centro commerciale onnipervasivo, caos organizzato, disordine finalizzato alla rapida realizzazione dei desideri e dei capricci. Il life motive resta però sempre lo stesso (Ndr): la supremazia dell'economia e del dio-denaro su tutte le altre prerogative umane, religiose e morali (marxismo pratico – Ndr).
Sharing Economy: la truffa ideologica del consumo collaborativo
Negli ultimi anni, una ulteriore forma delle straordinarie capacità adattive del sistema è quello della cosiddetta “sharing economy”, ossia del consumo collaborativo. Il termine definisce un modello economico fondato su pratiche di scambio e condivisione di beni, servizi o conoscenze. Nulla di più lontano, in apparenza, dal modello societale dello scambio “economico” di mercato. Con un colpo di reni dinanzi al quale si resta ammirati pur nella radicale opposizione, il capitalismo non solo si è appropriato di un meccanismo che avrebbe dovuto essere il contrario del mercato, ma lo sta rendendo una lucrosa espressione della “new economy”. In realtà, non vi è alcunché di nuovo: da che mondo è mondo l’uomo baratta o condivide ciò che possiede o sa fare. Una massaia ha dimenticato di comprare le uova per una torta: le chiede alla vicina, cui offre una o più fette di quella torta. Io conosco le lingue, e posso tradurre un libro o una conversazione a beneficio di qualcuno che dispone di un appartamento in montagna in cui trascorrerò le ferie. La disponibilità di un autoveicolo mi permette di aiutare un vicino non motorizzato a fare la spesa al supermercato preferito. Voglio disfarmi di vecchi dischi di vinile: un collezionista sarà felice di ritirarli, ed in cambio, ad esempio, potrà trascorrere qualche ora con una parente che non posso lasciare sola ( banca del tempo). Sono solo alcune delle possibilità, infinite davvero, di un’economia collaborativa, non legata esclusivamente al denaro misura di tutte le cose: baratto, prestito senza interesse, donazione, scambio, noleggio, autoproduzione, commercio “vernacolare”, nel senso di condotto fuori dalla logica del profitto economico monetario. Fuori dalle complicazioni intellettualistiche o teoriche, un’economia collaborativa sembrerebbe una buona soluzione per attutire l’impatto devastante della mercificazione di stampo liberista e capitalista e riportare l’uomo, la persona, la sua rete di rapporti, capacità, saperi, disponibilità al centro della vita pubblica. Questo nelle premesse e nelle aspettative di chi ne ha disegnato i contorni. Quanto ai fatti, le cose stanno ben diversamente, e rimandano al concetto di eterogenesi dei fini descritto da Giovanni Battista Vico, cioè lo sviluppo di qualcosa in una direzione diversa, opposta a quella per cui era nato.
Marxismo pratico, dietro il capitalismo della Sharing Economy
Il capitalismo (proprio come il marxismo – Ndr) sa volgere tutto in tornaconto, denaro, merce: reifica, ovvero fa diventare tutto “cosa”, attribuendogli un prezzo in denaro, spingendo verso il basso persino i più nobili ideali, sovrastrutture al servizio dell’unica struttura che riconosce, la ragione strumentale ed economica. Il mondo del capitalismo totale è “l’unico”, il definitivo, e sa trarre a sé anche ciò che sembra contrastarne la marcia trionfale. Il caso di cui parliamo è paradigmatico. Intanto, abbiamo la nostra definizione in anglo-tecno lingua, sharing economy, ed è il primo passo per abbindolare i gonzi. Il secondo è ancora migliore: sharing economy, secondo il mainstream economico liberale, è “un modo nuovo di scambiare beni e servizi”. Come è evidente, lo scambio è antico quanto l’uomo, e il termine collaborativo, partecipativo che è il significato di “sharing” è la realtà concreta di tutte le comunità umane di ogni tempo . Nuovo è l’apparato informatico che lo sostiene . Si tratta di organizzare una “piattaforma”, cioè mettere in piedi software in cui inserire e sviluppare “applicazioni” che consentono di mettere a contatto la domanda e l’offerta di qualcosa, di qualunque cosa, e gestirne da remoto il funzionamento. Prima stazione della Via Crucis: costituire una piattaforma sufficientemente articolata non è da tutti, ovviamente, ma soprattutto richiede investimenti e competenze . Si può definire esternalità di rete, ma la condivisione è iniziale e teorica: immaginiamo di voler organizzare un servizio di condivisione di brani musicali, come il famosissimo Spotyfy. Difficilmente potremo superare lo sbarramento del famoso gigante del servizio di “streaming” musicale , che lavora su milioni di brani offerti. Ecco che ritorna dalla finestra il monopolio che l’economia della condivisione intendeva far uscire dalla porta; i gestori di piattaforma non hanno certo interesse a “condividere”, ma a tessere la ragnatela del monopolio, o dell’oligopolio anche nel nuovo ambito.
La nuova economia miracolistica… che non abbatte i costi
L’idea forza della sharing economy è quella di abbattere l’intermediazione, ponendo a contatto diretto produttori, consumatori e scambiatori di beni o servizi. Basta una comune connessione Internet, ed il gioco è fatto. Il punto è che chi gestisce la piattaforma è lui stesso un intermediario, e pretende per sé una percentuale. Il sistema Uber, che in Italia ed altrove ha scatenato la giusta reazione dei tassisti, ad esempio, trattiene per sé il 20 per cento di ogni transazione. Doppio effetto negativo: la diminuzione dei costi avvantaggia solo apparentemente il consumatore , poiché, in prospettiva macroeconomica si genera una concorrenza al ribasso che rende chi offre lavoro sempre più povero, e si concentrano in pochissime mani quegli stessi costi di intermediazione di cui si pretende l’abbattimento. Nel caso di Uber, inoltre, la concorrenza nuoce allo stesso consumatore, giacché si disperdono le garanzie di un servizio su cui vigila il potere pubblico , a cominciare dal sistema assicurativo e dalla qualità generale . Chi offre la propria automobile, non di rado, è un disoccupato o un sottooccupato che si accontenta di integrare un magro reddito, alimentando la guerra tra poveri su cui prospera il sistema capitalistico. Quanto a Spotyfy, ha comunicato che venderà informazioni degli e sugli utenti agli inserzionisti. Il sistema di controllo informatico panottico guadagnerà una volta di più su di noi, utilizzando informazioni fornite spontaneamente. Tombola, anzi Bingo, per gli amerikani di casa nostra! Mentre vendono i fatti nostri agli inserzionisti, definizione assai generica, dietro la quale potrebbero celarsi forme di delazione politica o centrali di ricatto, i promotori delle piattaforme scaricano rischi e costi sui fornitori dei servizi. Pensiamo chi offre case in affitto, come Airbnb, o la più vecchia Homelink, che consente scambi di casa, specie per vacanze e brevi periodi. I contenziosi, le conflittualità, gli inevitabili contrasti tra le parti riguardano chi si è affidato al gestore. La percentuale della mediazione o del servizio tecnologico reso assomiglia sinistramente al pizzo mafioso, o ad una forma nuova di signoraggio. Ghino di Tacco, nella Radicofani medioevale, rispondeva alla medesima logica, pretendendo una somma, o passando a fil di spada chi transitava dalle sue parti, lungo la Via Cassia, sull’alto colle a dominio delle terre senesi in vista della Tuscia.
La falsa bandiera della condivisione
Quanto all’aspetto fiscale della faccenda (pur vivendo in un sistema-regime usurocratico, dove parlare di evasione è speso paradossale… specie per le Pmi e le famiglie infrante – Ndr), è chiaro il carattere di evasione tributaria di molte delle transazioni che passano attraverso le piattaforme. Ad essere precisi, si tratta soprattutto di un ambito in cui il potere pubblico è in ritardo , e nelle fenditure offerte da normative che non tengono il passo del mondo che cambia pelle attraverso l’impianto della tecnologia informatica, i profitti sono immensi, e non vanno certo agli inserzionisti. Pensiamo ad esempio a Vayable, una specie di repertorio di guide turistiche di varia natura, o a Friend of Friend Travel, che propone “amici” in ogni angolo del globo, che potranno offrire ospitalità, organizzare pranzi, custodire bagagli o altro. Tutto bellissimo, basato sulla fiducia, ispirata dal “marchio”- piattaforma, ma non privo di pericoli e di autentiche illegalità. Ci sono piattaforme per preventivi relativi a lavori o progetti, competenze personali: Voulez vous diner offre cuochi e gourmet, al prezzo di dieci euro a commensale, Waze è un’applicazione GPS attraverso cui si scambiano informazioni su strade e traffico. Di recente, è stato acquistato da Google, e questo già dice tutto sulla falsa bandiera della condivisione. Molto profittevole sembra il futuro del “carpooling” e del “carsharing”, che permetteranno di noleggiare automobili o moto, abbattendo i costi di assicurazione, meccanica e le tasse automobilistiche . Si ha certezza che le case automobilistiche stanno riflettendo se entrare con tutta la loro forza in questo mercato, che costituirebbe una rivoluzione enorme, con ricadute sull’intera filiera economica legata al mondo dell’auto. Capiamo quindi che l’economia collaborativa, della condivisione o comunque la si chiami ha una maschera virginale ed accattivante ed un volto sinistro di rivoluzione non certo a favore dei consumatori, ma anche di artigiani, piccoli e medi imprenditori, e, innanzitutto, si pone l’obiettivo di scardinare qualsiasi superstite regola tributaria o sociale.
Mercato Zelig: terminale delle grandi multinazionali
Navigando in rete, un sito nella nostra lingua enfatizza i vantaggi della sharing economy, descrivendola come un eldorado del consumatore , un provvidenziale meccanismo che travolge regole rigide poiché “ogni irreggimentazione è da scardinare” . Liberismo tossico in pillole ad uso degli sciocchi, sempre disposti ad abboccare all’amo dei grandi pescatori globali, che possiedono, controllano, orientano le reti e, ahimè, sempre più, le menti. Una conseguenza tra le tante è lo sviluppo di un mercato in cui tutti comunicano con tutti, ma attraverso un mediatore occhiuto, aggressivo ed invisibile, il Mercato Zelig nella forma reticolare, sottratto ai radar, sempre meno vigili delle "istituzioni elettive", cui spetterebbe (almeno in teoria – Ndr) assicurare il bene comune. Gli osservatori più entusiasti parlano di economia 4.0, sottolineando che le reti digitali organizzate in piattaforme diventeranno la forma prevalente dei mercati del futuro. E’ proprio così, e per questo vanno individuati i rischi che corrono utenti e consumatori in un quadro di vuoto legislativo e di apparente risparmio per la disintermediazione che, in realtà, concentra il profitto su un unico soggetto, il gestore di piattaforme, figura che tenderà ad essere un semplice terminale delle grande entità multinazionali, a loro volta emanazioni del potere finanziario. Questo per quanto riguarda pericoli e criticità del nuovo paradigma economico che cresce.
Piccole parentesi positive del consumo collaborativo
Dall’altro lato, tuttavia, resta il grande elemento positivo che dobbiamo riconoscere ed utilizzare. ll consumo collaborativo ha diversi punti importanti: stravolge infatti il consumismo classico e restituisce valore alla condivisione comunitaria, intacca il principio secondo cui il nuovo – nelle idee, nelle merci, nei comportamenti – è sempre meglio del vecchio e respinge la convinzione che l’unico mezzo di scambio sia il denaro, misura di tutte le cose e desiderio esso stesso. Attraverso forme varie di convivialità comunitaria, io posso cedere ciò che non mi serve o non mi interessa più, rimandando il suo destino di rifiuto; sono in grado di annodare rapporti personali nuovi, di tipo non esclusivamente strumentale; riscopro il piacere di dare, offrire, perfino donare sapendo che dall’altra parte si svilupperà il medesimo senso di reciprocità; scopro forme “vernacolari “nuove di scambio, giacché qualche ora del mio tempo, un servizio alla persona altrui, un baratto nel quale non si misura dare e avere con il bilancio dell’orafo mi proiettano in una dimensione nuova, nella quale un giusto tornaconto non è l’unico elemento, spesso neppure il più importante. Senza scomodare antichi comportamenti scoperti dagli antropologi culturali come il “poltlach” ( dono, controdono, obbligo morale di accettazione e restituzione), si può uscire dall’irrespirabile dimensione del calcolo , magari apprezzando sino in fondo l’aforisma di Oscar Wilde secondo cui dove tutto ha un prezzo, niente ha valore. E’ forse il recupero dell’idea di “valore” la cifra essenziale della “sharing economy”, a patto , naturalmente, di sganciarla dalla strumentalità individuale: non c’è dubbio che le grandi piattaforme siano la negazione di ciò che affermano.
Il vero cancro del sistema economico e la reale panacea
Tuttavia, se da una parte va incoraggiata la nascita di molte piattaforme, anche piccole e locali, che creino circuiti di conoscenza diretta, stili di vita collaborativi, insieme con la ridistribuzione di cose, servizi e risorse, dall'altra non va dimenticato il nodo essenziale della società usurocratica e consumistica al tempo stesso: le risorse monetarie ed economiche che mancano all'appello dei bilanci familiari ed aziedali non possono essere mai ovviati ricorrendo a forme fantasiose di economia.. piuttosto si potrà dare ossigeno agli attori del ciclo economico e sociale, difendendo modelli di sovranità monetaria che sleghino i popoli dalla logica distruttiva della moneta debito: logica imperialistica che né il liberal-capitalismo, né il social-comunismo hanno mai neutralizzato, poiché facce della stessa medaglia (Ndr). Riconoscere il pericolo è la prima condizione per evitarlo: ciò fece il Prof. Giacinto Auriti (vedi foto in copertina), l'uomo che surclassò liberismo e socialismo (Scilla e Cariddi – Ndr) con l'attacco alla moneta-debito e l'istituzione del reddito di cittadinanza a credito in integrazione al reddito da lavoro di ciascun attore economico-sociale (moneta credito). Il liberal capitalismo, dunque, il grande Zelig, fa diventare ciascuno di noi imitatori desideranti . E’ un imbroglio, uno in più (proprio come il Comunismo – Ndr).
Roberto Pecchioli
con contributi di Sergio Basile (Copyright © 2016 Qui Europa)
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