Sabato, 9 Aprile/ 2016
– di Floriana Castro / Antimassoneria –
Lunedì, 7 Novembre/ 2016
– di Sergio Basile e Matteo Mazzariol –
Redazione Quieuropa, Sete di Giustizai, Movimento Distributista, Matteo Mazzariol, Sergio Basile, Moneta Debito, Socialismo, Gilbert Keith Chesterton, Giacinto Auriti, Ezra Pound, Social comunismo, socialismo, liberismo, sistema bancario internazionale, falsa democrazia, dittatura
La falsa Democrazia e i cattivi profeti del nostro
tempo: marxisti, liberisti & Co.
L'alternativa auritiana e quella distributista
Il problema monetario del signoraggio bancario e della moneta-debito
non trovano spazio nei salotti tv del sistema imperiale.
Ecco chi li nasconde abilmente, oggi come allora…
Scuola auritiana e movimento distributista viaggiano sulla stessa
frequenza d'onde e rappresentano, ad oggi, una credibile
alternativa al sistema, per la tutela del bene comune
di
Sergio Basile / Presidente "Sete di Giustizia", ass. naz. auritiana
e Matteo Mazzariol / Presidente Movimento Distributista Italiano
Le idee sbagliate sono come malattie…
Roma – di Sergio Basile – E' luogo comune, specie negli ambienti di destra, sostenere come "la rovina dell'Italia siano i sindacati". Di questo slogan, tuttavia, spesso non se ne comprende la reale portata. Molti intravedono in questa "azzardata critica" una mancanza di rispetto verso i problemi delle classi operaie ed i loro "irrisolti" conflitti. Ma sarà davvero così? Il tema, evidentemente, non può esaurirsi in una mera questione di appartenenza politica: destra e sinistra non c'entrano! Il problema nasce a monte ed è ancora più profondo di quel che vorrebbero farci credere i media di regime. Lo si comprende analizzando sotto una nuova ottica la nascita del fenomeno sindacale nel pensiero di uno dei profeti del social-comunismo, Carlo Marx: personaggio fin troppo idolatrato da chi, per statuto, dovrebbe contrastare sia il capitalismo selvaggio che l'imperialismo bancario, suo compare. Passando dalla teoria alla pratica, tuttavia, ravvisiamo quotidianamente un irrazionale ribaltameto di tali premesse. Il sistema bancario sembra non intaccare minimamente né l'interesse dei sindacalisti, né quello dei marxisti in senso lato. Come mai? La contraddizione è insita nel fulcro stesso della teoria marxista: la teoria del plusvalore.
"Nei corpi sociali le idee sbagliate
sono come le malattie del corpo umano".
Giacinto Auriti
Marx, come intuì il professor Giacinto Auriti (il padre della "Teoria del Valore Indotto della Moneta") con la Teoria del Plusvalore aveva denunciato il fatto che il datore di lavoro sfruttasse il lavoratore appropriandosi parassitariamente del reddito di capitale, ma non aveva svelato la seconda parte dell'arcano: il fatto che
gli attori sociali e politici
mai nella storia si fossero posti trasversalmente
agli interessi del sistema bancario.
Il sindacato nasce e cresce nella culla del marxismo. Per il filosofo tedesco esso è uno
"strumento di rivoluzione, con lo scopo di rivendicare,
sotto forma di aumento dei salari,
il plusvalore".
Carlo Marx
Le profondissime lacune del marxismo
Auriti comprende le profondissime lacune socio-economiche dell'ideologia social-comunista, smascherando Marx e vanificando il suo storico alibi. La Teoria del Plusvalore, restando indifferente e neutrale rispetto al processo monetario che alimenta e vizia a monte il conflitto tra imprenditori e operai, si rivela funzionale agli interessi dello stesso capitalismo. Egli denuncia l'elemento che sfugge a Marx e, in ultima istanza, penalizza lo stesso lavoratore:
il venir meno dell'interesse a contrarre
da parte del datore di lavoro.
Il peccato originale, l'errore della Teoria del plusvalore di Karl Marx, sta nel fatto che
"ponendosi l'ipoteca morale sul plusvalore
(e non sulla moneta-debito in sé)
viene meno nel datore di lavoro l'interesse a contrarre,
e si pongono così le premesse per il lavoro
senza contratto che, a ben guardare,
altro non è che il ritorno alla schiavitù,
realizzata nel capitalismo di stato,
con l'imposizione d'autorità dell'ammontare dei compensi
tipica dei regimi socialisti,
nel capitalismo liberale con la flessibilità dei salari".
Giacinto Auriti
Socialismo e liberismo: 2 facce, una medaglia
La principale contraddizione del marxismo, che avvicina Marx alle posizioni liberal-capitaliste più estreme, consta perciò nello spostare il nocciolo della rivendicazione sociale esclusivamente su una futile scaramuccia o "guerra tra poveri"; cioé sul piano di un irrisolto e perenne duello storico tra datori di lavoro e proletariato, dimenticando che a dare il sangue ad entrambi i corpi sociai posti sul ring della storia è proprio il sistema bancario. Quest'ultimo è il nemico occulto, la mano assassina che
immettendo nel sistema economico
denaro-debito avvelenato
(cioé moneta inquinata a monte dal debito:
capitale creato dal nulla più interessi)
pugnala alle spalle entrambi i contendenti,
costringendoli al reciproco omicidio/suicidio.
Inganno e fine delle ideologie del Novecento
Ovviamente è lo stesso sistema bancario (d'estrazione giudeo-massonico-protestante) ad aver creato la contesa, promuovendo sia l'ideologia social-comunista che quella liberal-capitalista attraverso processi rivoluzionari cruenti e "rivoluzioni culturali" che hanno fatto del Novecento il secolo più buio della storia, malgrado il paravento della "Democrazia". I sindacati – e per comprenderlo basta guardare l'attuale sfacelo economico – in effetti hanno avuto storicamente il compito di intervenire e "moderare" l'alterco, guardandosi bene, però, dal risolverlo.
Ecco perché il tema del signoraggio bancario
è ancora oggi un tabù sia per le grandi lobby
che per marxisti e sindacalisti.
Il reale obiettivo di questa guerra senza fine è, dunque, quello di spossare agli estremi, fino all'esaurimento totale, entrambi i duellanti e contestualmente impoverirli a monte, con crescenti livelli di tassazione e – in aggiunta – attraverso la delocalizzazione dei poli produttivi e l'assenza di concorrenza reale.
Postumi contemporanei del morbo marxista
Attualizzando questo assunto alla realtà contingente possiamo sostenere che la globalizzazione, fatta propria da tutti i sistemi "democratici", non è altro che la
premessa per la cinesizzazione delle società,
intesa come schiavitù reale dovuta alla mancanza di
regolamentazione indotta del lavoro
e assenza totale di una cultura monetaria
tra i "contendenti"
La "Democrazia" diviene, dunque, un fantasma, un'illusione. Ciò in un mondo dove aumentano gli orari di lavoro e, per contro, diminuiscono gli occupati e il valore dei salari, in nome della "flessibilità". Evidentemente non si tratta di casualità, ma di un piano di dominio, ricco di elementi speculari, ben architettato nei secoli, anche se
i media collusi tendono a semplificare tutto
camuffando le strategie monetarie studiate per annientare i popoli
facendo ricorso alla generica espressione
di "crisi economica".
Oltre il luogo comune
Andando ben oltre il luogo comune e l'approssimativa, equivoca, suddivisione tra struttura e sovrastruttura cara a Marx, dove tutto si riduce ad economia e potere economico, invero scorgiamo evidenti indizi che riconducono il conflitto ad una dimensione ideologico-religiosa: vera anima del marxismo e dei suoi filosofi. Non possiamo dunque tacere sulla reale natura religioso-ideologica dal socialismo (o social-comunismo) e del marxismo, nati in ambienti giudeo-massonici (2) e filo-bancari: le medesime incubatrici del liberismo! No va dimenticato infatti, il ruolo del banchiere giudeo, e massone, Jacob Schiff e dei suoi correligionari dell'alta finanza (giudeo-massoni fedelissimi a Cabala e Talmud) nel finanziamento delle diaboliche e sunguinosissime stragi rivoluzionarie rosse… e non solo. Essi furono gli stessi uomini che fondarono la Federal Reserve negli Sati Uniti, nel 1913 (alter ego di Wall Street) dopo essersi liberati dello scomodo Abramo Lincoln (1865) (3).
Socialismo, giudeo-Massoneria
e sistema bancario
hanno un'unica anima e un'unica mente
Ma questo, personaggi molto in voga come l'onnipresente giovane filosofo neomarxista Diego Fusaro (accolto "curiosamente", a braccia aperte, in tutti i salotti delle tv imperiali) o l'omologo più anziano, Giulietto Chiesa, sembrano ignorarlo… Ignoranza o collusione con il sistema? Beh fate voi!
(2) Cfr.: Le radici occulte del Socialismo
(3) Cfr.: Da Lincoln ad Auriti – L'unica via per uscire dalla crisi
Il problema monetario. Chi lo nasconde?
Ne "Il Capitale", mattone di 1528 pesantissime pagine "di liberazione", il paladino dei popoli, Carlo Marx, dedica al problema dei problemi, la schiavizzazione dei popoli tramite il sistema bancario e la moneta-debito, solo due confuse righe… Ma i nuovi seguaci di Marx fanno anche peggio! Giulietto Chiesa ha più volte ammesso pubblicamente di considerare il signoraggio bancario un falso problema (4); Diego Fusaro, sulla stessa scia, pur avendo avuto su questi temi, con il sottoscritto, un pubblico confronto presso l'Università di Catanzaro, dinanzi a centinaia di studenti, ed esser stato informato a dovere sulle tematiche monetarie e le teorie auritiane, non parla mai dell'argomento nei salotti tv (dov'è da anni di casa) e sostiene spesso, addirittura, di "non conoscere Auriti". Incredibile!
(4) errore per conto mio sufficiente a oscurarne l'immagine di intellettule onesto
Un rovinoso naufragio
D'altronde Carlo Marx (per tacere su Hegel ed Engels) è l'emblema dell'ambiguità e dell'inganno mondialista che si celano dietro le ideologie del Novecento. Egli non ha mai messo in discussione il denaro, come avevano ben chiaro – tra l'altro – anche personaggi di altissima dignità morale come Giacinto Auriti ed Ezra Pound.
I marxisti alla Giulietto Chiesa e alla Diego Fusaro,
nonostante le serrate critiche contro il capitalismo e la finanza,
e nonostante gli spazi mediatici abnormi concessi loro,
non riescono a comprendere cosa sia davvero il denaro
pur dimostrando una grandissima capacità dialettica e retorica.. Beh sarebbe ora di svegliarsi! Non trovate? Queste brevi considerazioni sono sufficienti a comprendere, ancora una volta, la convergenza verso un unico punto di Cournot tra liberalismo, marxismo e imperialismo bancario.
I "grandi pensatori" e filosofi marxisti
del nostro tempo, a quanto pare
naufragano miserevolmente sullo scoglio
della moneta-debito.
Buona ragione per smettere di seguire i loro saggi (ed interessati) sproloqui in tv: il bene e la verità, infatti, non possono essere né parziali né ambigui, altrimeti contraddirebbero se stessi e la loro dimensione universale.
Democrazia integrale e questione monetaria
Prima di avventurarci in sconvenienti siparietti da stadio, o in "battaglie costituzionali" in difesa della "Democrazia" e dello "stato di diritto", bisognerebbe comprendere e rivelare in tutta la loro portata distruttiva, i reali motivi di questa pseudo-crisi mondiale dando centralità alla questione monetaria, Questa rivoluzione culturale passa anche dalla
rivalutazione dell'elemento giuridico della moneta,
rispetto a quello prettamente economico.
Bisogna capire di chi deve essere la proprietà della moneta! Per far questo dobbiamo uscire dalla gabbia dell'economia classica, dall' "economia del debito", rimettendone in discussione i capisaldi: da Marx a Weber, da Keynes a Smith. Vi sarà una reale democrazia (o "democrazia integrale") sono attraverso la socializzazione dello strumento monetario, cioé attraverso la realizzazione della "Proprietà Popolare della Moneta".
Sergio Basile / Presidente "Sete di Giustizia" (Copyright © 2016 Qui Europa)
La vera democrazia e la sua parodia
Roma – di Matteo Mazzariol – Gli italiani non hanno più alcun potere: il singolo cittadino non può decidere nulla sul proprio lavoro, nulla sul modo in cui viene creato il denaro, nulla sulla sua previdenza sociale e sulla sua pensione, nulla sul prezzo di beni e servizi, nulla su chi entra e chi esce dalle proprie frontiere. Può solo decidere, una volta ogni 5 anni, che segno mettere su una scheda bianca: tutto questo qualcuno insiste a chiamarlo democrazia, senza accorgersi che ne è invece soltanto una grottesca parodia. La vera democrazia consiste infatti nell'esercitare direttamente tutti quei poteri reali che il sistema partitocratico impedisce di principio.
Il sistema dei partiti non è altro che
"l'instrumentum regni" dell' oligarchia economico-finanziaria
che oggi detiene il potere reale.
Non vi è infatti autentica democrazia senza una corrispondente equa distribuzione della proprietà produttiva e del potere decisionale tra i vari comparti lavorativi, non vi è vera autentica democrazia senza distributismo.
L'alternativa distributista
Non ci può essere vera democrazia senza distributismo e senza proprietà popolare della moneta (vedi teoria auritiana – Ndr). Per democrazia si intende quella forma di governo in cui, compatibilmente con le contingenze, il potere ("kratos") è distribuito in maniera più ampia possibile nel popolo ("demos"). Sappiamo benissimo che in una società in cui la proprietà e le ricchezze non sono distribuite uniformemente ma concentrate nelle mani pochi – sto parlando della società in cui viviamo – non si può avere vera democrazia. Nel momento in cui infatti qualsiasi governo, anche il più "democraticamente" eletto, deve decidere che regole e disposizioni, sarà sempre influenzato dalla pressione delle lobby più potenti: le leggi sulle banche, sulla finanza, sulle multinazionali, sulle grandi assicurazioni sono state fatte e continuano ad essere fatte secondo questo criterio. Chi possiede enormi ricchezze ha un corrispettivo enorme potere.
La democrazia che rimane
è una democrazia ipocrita e falsa, di mera facciata.
Emerge quindi una innegabile equazione tra potere economico-finanziario e potere politico. Che fare dunque? Il distributismo ha la soluzione:
ci potrà essere vera democrazia
solo quando ci sarà
un'equa ripartizione della proprietà produttiva,
in modo che corrispettivamente non ci sia alcun corpo sociale
od individuo che abbia accumulato così tanta ricchezza
da esercitare un potere politico sproporzionato.
liberal-capitalismo e social-comunismo, che puntano alla concentrazione del potere economico nelle mani di pochi – capitalisti o Stato – sono quindi intrinsecamente anti-democratici. Per una vera democrazia l'unica via è il distributismo.
No a Keynes, No al liberismo
Il paradosso in cui viviamo oggi è che ci troviamo in una delle più grandi crisi economico-sociali che l'umanità abbia conosciuto e le ricette che ci vengono suggerite dagli esperti per uscirne (keynesismo e liberismo), lungi dall'essere in opposizione l'una con l'altra, sono in realtà due diverse facce di una stessa medaglia. Tutte e due infatti hanno alla loro base un assunto di fondo:
è buono e giusto
che il potere e la proprietà nella società
siano concentrate nelle mani di un
gruppo ristretto di persone.
Nel liberismo il caso è evidente: massima libertà, con abolizione di tutte le leggi che vincolano ad un principio di equità e giustizia le azioni economiche, con conseguente sempre maggior accaparramento delle risorse da parte degli attori più forti. E' lo scenario che abbiamo davanti agli occhi: l'1% della popolazione che detiene più del 50% delle risorse. Il keynesismo, nelle sue molteplici varianti – oggi si parla di neo-keynesismo – apparentemente si erge contro lo squilibrio economico-sociale del liberismo ma in realtà non è assolutamente in grado di superarne le aporie, anzi rischia di peggiorarle. Il keynesismo infatti rappresenta in sostanza il tentativo di mitigare gli effetti negativi del liberismo senza affrontare il problema di fondo del capitalismo – cioè la funesta separazione tra capitale e lavoro. Il keynesismo lascia inalterato lo strapotere delle elitè economiche finanziarie, operando una sorta di redistribuzione forzata dei beni dai grandi capitalisti ai cittadini, attraverso l'apparato burocratico statale. Il progetto, come si è potuto sperimentare dagli anni '70 in avanti, è fallimentare. Fallimentare perchè non tiene conto della realtà, umana, economica, politica.
Eternamente dipendenti, eternamente schiavi
Dal punto di vista umano il cittadino medio nella visione keynesiana dipende infatti per il suo sostentamento non dai frutti del proprio lavoro ma dalle concessioni – fiscali, previdenziali, remunerative, assistenziali – che lo Stato, ed il governo che di volta in volta lo rappresenta, decide di attuare.
Il cittadino perde così il bene più prezioso,
quello che lo distingue dagli animali, la libertà,
e diventa a tutti gli effetti un “dipendente”,
sottomesso in tutto e per tutti ai dettami
dell'apparato burocratico.
Le sue capacità personali si riducono così ad avere un ruolo molto limitato nel decidere il suo status. Tale apparato burocratico inoltre, non essendo un'entità astratta ma un corpo forzatamente composto da uomini, rappresenta anch'esso un enorme concentrazione di potere nelle mani di pochi, una realtà oligarchica, inevitabilmente legata e connessa all'altra forma di oligarchia, quella economico-finanziaria. Alla casta dei capitalisti si aggiunge quella, più subalterna ma non meno prevaricante, dei burocrati statali: sempre di casta e di oligarchia comunque si tratta e sempre spossessati di potere reale (politico ed economico) rimangono i cittadini.
Società Servile e alternativa distributista
La società che così prende forma è quello dello Stato Servile, descritto da Hilaire Belloc e Gilbert Chesterton quasi 100 anni fa, in cui il singolo non conta più nulla ed ha perso tutte le libertà fondamentali di fronte ai poteri economici e statali. Inevitabile, dirà qualcuno. Che alternativa c'è in fin dei conti?
L'alternativa c'è
e si chiama senso comune.
Il distributismo è infatti quella visione politica che fa del senso comune il perno di ogni considerazione e decisione. La proposta del distributismo è molto semplice. Dire no a liberismo e keysenismo e promuovere una società in cui: il capitale ed il lavoro vengano riuniti nelle stesse persone, là dove possibile; i cittadini vengano aggregati sul territorio per comparto lavorativo in associazioni in grado di discutere e decidere tutti gli aspetti importanti e concreti della sfera socio-lavorativa (principio corporativo); il denaro torni ad essere di proprietà dello Stato, o meglio, dei cittadini al momento dell'emissione; la famiglia torni ad avere una propria autonomia economica reale.
Uomo libero, non dipendente/schiavo
Questo modello di società – la società distributista – è radicalmente diverso da liberismo e keynesismo in quanto si basa sulla massima distribuzione possibile di potere e proprietà dal basso, a partire dalla famiglia. In esso la figura predominante non sarà quello del “dipendente” ma dell'uomo libero, in grado, con il proprio lavoro, di sostenere la propria famiglia, ed aggregato, attraverso forti vincoli di responsabilità e partecipazione, con quanti condividono la sua attività sul territorio. In tale modello non ci saranno nuclei oligarchici (finanziari, economici, burocratici) ma il potere sarà il più possibile diffuso secondo le capacità ed i meriti dei singoli. In tale modello lo Stato continuerà ad avere un ruolo significativo, quello di controllare il rispetto delle leggi e del bene comune, mentre la maggior parte dei servizi (sanità, educazione, trasporti) saranno forniti dai privati: la figura del dipendente sarà sostituita da quella del lavoratore-proprietario. Utopia? No, senso comune! Utopia infatti deriva dal greco “ou”=non e “topos”=luogo.
Il “non luogo” è proprio il posto in cui
ci troviamo oggi,
grazie al fatto che la politica persevera a seguire
i modelli liberisti e keynesiani,
gia sepolti dalla storia.
Il distributismo indica un'altra strada, basata sulla roccia della ragionevolezza, e quindi destinata a raggiungere i luoghi della realtà.
Matteo Mazzariol / Pres. Movimento Distributista Italiano
(Copyright © 2016 Qui Europa)
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