Aborto, omosessualismo, immigrazione: una sinistra dissoluzione

Martedì, 12 giugno / 2018 

– di Roberto Pecchioli 

 Redazione Quieuropa, Roberto Pecchioli,  sinistra dissoluzione, omosessualismo, Aborto 

Aborto, omosessualismo, immigrazione:

una sinistra dissoluzione

Fotografia di una civilizzazione al capolinea: l'incarnazione

ideale della post-modernità

 

di Roberto Pecchioli

SINISTRA DISSOLUZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Una civilizzazione al capolinea                               

Roma – di Roberto Pecchioli Tutto si tiene. Una civilizzazione che non riproduce più stessa biologicamente è al capolinea, soprattutto se le ragioni sono l’egoismo, l’orrore per le responsabilità, il rifiuto del futuro, l’assenza di principi comuni. L’esito non può essere che l’esaltazione dell’aborto, il rigetto della vita vecchia e malata, la ricerca ossessiva del piacere, il disprezzo per la normalità naturale, la preferenza accordata a ciò che è comodo, l’odio di sé. Il cardinale Robert Sarah, un africano che avremmo voluto come successore di Benedetto XVI ha così sintetizzato lo stato delle società occidentali:

                          “L’Europa senza fede ha creato un mondo di tenebre.

                        La società occidentale ha scelto di organizzarsi senza Dio.

        Ed ecco che oggi la vediamo abbandonata alle luci tremolanti e ingannatrici

  della società dei consumi, del profitto a ogni costo e di un individualismo forsennato"

Il grande baraccone malato deve essere tenuto in piedi con braccia nuove. Di qui la preferenza ipocrita per lo straniero al fine di giustificare un’immigrazione sostitutiva per colmare i vuoti, disporre di nuovi servi.

                      Una potentissima macchina culturale, mediatica, economica

                           è al servizio di un progetto ormai pressoché concluso,

                       farla finita con la civiltà più vasta e persistente della storia,

                             insieme con le genti europee che l’hanno realizzata.

Tutto si tiene, pensavamo guardando i partecipanti entusiasti al periodico raduno romano del Gay Pride, orgoglio omosessuale. Insieme con gerarchi della sinistra capitolina, il vice sindaco della città eterna, l’immancabile signora Cirinnà, matrigna delle unioni civili, cioè delle nozze omo, spiccavano Susanna Camusso, segretario/a generale del maggiore sindacato italiano, la CGIL, Emma Bonino antica abortista con pompe di bicicletta e, udite udite, i partigiani dell’ANPI (forse i loro discendenti) riuniti per l’occasione nella Brigata Arcobaleno, nemici della famiglia naturale, gay friendly anche loro. Non poteva mancare il patrocinio delle istituzioni, il timbro ufficiale di approvazione; ben visibili nomi e marchi di chi ha sponsorizzato la manifestazione versando fior di quattrini, industrie, multinazionali, entità finanziarie.  Un’ottima causa. 

 L'incarnazione ideale della post-modernità           

Una sinistra, gaia dissoluzione avanza. Emma Bonino – grande italiana secondo un influente argentino, Jorge Mario Bergoglio – ci sembra il simbolo e il trait-d’union di tutte le anime gaie del presente. Liberale, libertaria, liberista e libertina, gran sostenitrice delle guerre umanitarie americane, incarna perfettamente la postmodernità: destra del denaro e degli affari, sinistra dei costumi, immigrazionismo. Con lei sul palco, i superstiti comunisti ingrigiti dell’ANPI alla ricerca di un ruolo qualsiasi sulla scena del secolo. Cantavano Bella ciao, o forse Bello ciao, chissà, ci è parsa un’offesa ai partigiani di allora, nessuno dei quali si batté per il matrimonio gay.  Sotto il palco, le comparse multicolori, gli schiamazzanti portatori dell’orgoglio dell’inversione, ex trasgressivi divenuti parte integrante del panorama. Ci ha colpito uno dei loro cartelloni: famiglia è dove c’è amore. Che meraviglia, come si fa a non essere d’accordo, applausi scroscianti del pubblico televisivo, qualche furtiva lacrima delle nonne. Nichi Vendola, simil papà dopo aver affittato l’utero di una donna povera- ed era comunista! – ha attaccato il governo reo di aver istituito il ministero della famiglia “al singolare”. Nel resto del mondo avanza l’aborto, che qualcuno vorrebbe considerare un diritto umano, come la vita, il cibo, la salute. Dappertutto, si dà voce a un nuovo femminismo deciso non solo a distruggere l’uomo e la virilità (#MeToo, Asia Argento) ma ad andare oltre, in una deriva che impaurisce. Una nota attivista e giornalista argentina, Marta Dillon, ha affermato testualmente “la coppia eterosessuale è un fattore di rischio per la vita delle donne”, mentre “il patriarcato è una struttura sociale che si sostiene con la violenza fisica ed economica”. Aggiunge: “Violenza è che dobbiamo svolgere lavori domestici senza essere mai pagate “. Propone che gli apprezzamenti sgraditi a una donna siano considerati “reato di molestia stradale”, concludendo la sua prestazione intellettuale con una perla di diritto penale: “i femminicidi non sono solamente un crimine che si commette contro quella vittima, ma un crimine commesso per disciplinare tutte le donne”. Echi di risacca del maoismo: colpirne una per educarne cento.

                         L’uomo è un criminale per il solo fatto di essere di sesso,

                                                pardon di genere maschile.

La fondatrice del collettivo “Ni una menos” (non una di meno) incalza con una scusa non richiesta (accusa manifesta…): “Questa cosa secondo cui noi odieremmo gli uomini è un’altra strategia del patriarcato per difendersi “. Termina con un’incendiaria difesa dell’aborto, atto di “sovranità sui nostri corpi, autonomia sulle nostre decisioni, accesso a una libertà sessuale sempre minacciata dal problema della gravidanza”.

 Una antica filastrocca.. ormai caduta                       

Insomma, le relazioni con gli uomini sono per le donne una pessima cosa in via generale, un rischio, ma se proprio qualcuna vuole provare il brivido, che almeno possa abortire in santa pace, magari dopo essere andata alla previdenza sociale a riscuotere i corrispettivi per il lavoro domestico. Le avanguardie rivoluzionarie aprono la via, le istituzioni, come l’intendenza di Napoleone, seguiranno. Ci stiamo arrivando. In Irlanda l’aborto è passato dopo una campagna elettorale caratterizzata dall’impegno dei poteri forti e dal disimpegno della chiesa locale, in chissà quali altre faccende affaccendata.

            Non per caso la difesa della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza

                              (sintagma eufemistico politicamente corretto)

                  è una priorità della CGIL, come i “diritti” degli omosessuali.

Una perfetta immagine di ciò che è diventata la sinistra occidentale, anche nella sua componente sindacale. Da difensori degli operai e dei lavoratori, nemici dei padroni, del profitto e della proprietà (almeno secondo la filastrocca che ci hanno insegnato a scuola… Ndr) a sostenitori delle coscienze privatizzate, del soggettivismo più estremo, guardie rosse del vecchio nemico di classe di cui condividono gli orizzonti. Una volta avrebbero sostenuto il diritto umano al lavoro, oggi inclinano per la sessualità “omo” e sono intransigenti abortisti. Le operaie che rifanno i letti degli alberghi inseguite dal cronometro, i magazzinieri di Amazon dai ritmi massacranti, i lavoratori a chiamata, i “somministrati” dipendenti di Caio che lavorano a tempo per Tizio possono aspettare. Altre sono le priorità del sindacato di classe. Prima i gay e le donne che hanno avuto relazioni, come dire, imprudenti.

 I cantori del progresso contro il nascituro             

Sul tema dell’aborto l’accordo tra tutti i cantori del Progresso, è ferreo: libertà totale per la donna, nessun diritto per il nascituro, nessuna possibilità di dissenso del padre, l’inutile personaggio che ha casualmente partecipato all’atto concluso malauguratamente con il concepimento di un essere umano. Tutto si tiene: la volontà di non riprodurre se stessa di una società stremata diventa idea politica, movimento sociale, pressione sindacale. L’astrazione individualista si fa concreta pulsione di morte. L’orrore per la genitorialità, l’indifferenza per i non nati va di pari passo con la spinta a legalizzare la fine “assistita”. Eutanasia, un altro diritto, quello di morire. L’inversione è totale, si cancella il diritto alla vita per la scomoda condizione di genitore (i figli, come i diamanti, sono per sempre…) ma si lotta per la morte, senza neanche il coraggio di chiamarla per nome.  Il lato positivo, per chi vuol ancora vedere, è che hanno tolto definitivamente la maschera. Il femminicidio è descritto come un crimine più grave di ogni altro assassinio. E’ molestia sessuale, come afferma la femminista argentina, anche una parola di troppo, un’occhiata ritenuta concupiscente. Avanza un grottesco puritanesimo in cui gli atti omosessuali diventano libere manifestazioni, mentre gli sguardi rivolti a una donna possono essere oggetto di contestazione giudiziaria. Nella solita Svezia, punta di lancia della regressione, una serissima deputata socialdemocratica ha proposto una legge volta a burocratizzare con un esplicito consenso le relazioni sessuali. Ci sarebbe da ridere per non piangere, ma chissà che presto a Stoccolma esista un modulo a doppia, tripla, o quadrupla firma in caso di atti sessuali di gruppo, una specie di liberatoria dove potrebbero essere descritti i rapporti che si intendono intrattenere. Naturalmente, il progressismo libertario neo moralista conosce eccezioni. I beniamini dei crociati della correttezza politica sono le minoranze “civili”: femministe, abortiste, omosessuali, e naturalmente immigrati. Così è esplicitamente proibito negli avanzatissimi paesi dell’Europa settentrionale raccogliere statistiche sui reati commessi dagli stranieri; non sono poche le voci di chi pretende che sia dato asilo e condizione di profugo politico all’immigrato omosessuale e via impazzendo. Odiosi omicidi come quello subito dal giovane maliano in Calabria diventano occasione per colpevolizzare tutti esigendo pene esemplari per l’assassino. Se le merita perché ha spezzato una giovane vita, paghi il suo conto.

 Dov'erano gli indignati a comando?                       

Ci permettiamo però di osservare che l’omicidio in Italia è ordinariamente punito con l’ergastolo senza riguardo all’origine etnica della vittima; chiediamo altresì agli indignati a comando dov’erano, personalmente e attraverso i loro politici al governo, quando si permetteva la nascita e la persistenza di vergognosi ghetti di miseria, degrado e illegalità dove si raccolgono i dannati del sistema, l’esercito multietnico di riserva del capitalismo ultimo? Hanno forse impedito il nuovo caporalato, lo sfruttamento incivile di chiunque, bianco, nero, meticcio, in nome del profitto a ogni costo e dell’individualismo forsennato di cui parla il guineano cardinale Sarah?  I sindacati, tanto solleciti a partecipare alle adunate omosex, femministe ed abortive, hanno scordato la lezione sulla reificazione, ovvero la riduzione delle persone a cose, oggetti, pedine del grande gioco del profitto. Hanno oltrepassato l’internazionalismo, che parlava di fraternità tra i popoli – senza dimenticare che il nazionalismo è figlio naturale del liberalismo del XIX secolo – per finire a braccetto del padrone globale nella cosmopoli in cui ciascuno è estraneo a tutti gli altri, dove cittadino del mondo è un’espressione di involontaria comicità.

 Gaia, sinistra, orgogliosa (pride…) dissoluzione   

Tace la Chiesa e chiede più moschee, con buona pace di Thomas S. Eliot che scrisse i Cori della Rocca per promuovere la costruzione di chiese nelle periferie operaie inglesi. Tace e si frega le mani la destra economica insieme con sfruttatori di ogni bandiera; la retorica dell’accoglienza cela affari lucrosi, vergogne, pene indicibili. Sono gli spasmi di un mondo in fase terminale. Tutte le civiltà nascono e muoiono, in genere per consunzione interna. Le modalità le spiegò tre secoli fa G.B. Vico nella Scienza Nuova, ripreso nel Novecento da storici come Toynbee e pensatori come Spengler. Il dramma della decadenza è che, da un certo momento, non è più percepita come tale. Oggi siamo al ribaltamento, all’inversione in cui si chiama progresso la fine penosa di un tragitto lunghissimo. Le stesse leggi non significano più nulla, come le “grida” manzoniane. Il processo ha acquisito una forza tale che arriverà alla sua conclusione. L’ edificio che abbiamo amato crolla, alcuni vivono la tragedia con sofferenza lacerante. Nuovi equilibri si formeranno, altre generazioni troveranno la loro strada. Resta il compito di resistere in piedi tra le rovine, ribelli, rivoluzionari per fedeltà, levare tenacemente la voce affinché si sappia, domani o dopodomani, che non tutti collaborarono alla dissoluzione, non tutti dimenticarono la terra dei padri, tradirono la fede ricevuta, rinnegarono i principi in cui nacquero, vissero e morirono generazioni con i nostri stessi volti, gente che chiamò bene il bene e male il male. E’ una gaia, sinistra, orgogliosa (pride…) dissoluzione. Allegria di naufraghi.

Roberto Pecchioli (Copyright © 2018 Qui Europa)

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