Lo slogan dell’impero: le famiglie gay non fanno male a nessuno

Mercoledì, 6 giugno / 2018 

– di Roberto Pecchioli 

con integrazioni e note a cura della redazione

 Redazione Quieuropa, Roberto Pecchioli,  Famiglie gay, aborto, Lorenzo Fontana, matrimonio 

Lo slogan dell'impero: le famiglie gay non

fanno male a nessuno

Lo stesso copione si applicò per l'aborto. Dietro le quinte,

i soliti ingegneri sociali, servi del sistema: liberisti,

social-comunisti, neo-marxisti francofortesi

 

di Roberto Pecchioli

con integrazioni e note a cura della redazione

FAMIGLIE GAY

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 "Non facciamo male a nessuno"                             

Roma – di Roberto Pecchioli   Mattia Feltri è un brillante giornalista vicino al potere. I suoi commenti, brevi, asciutti, ironici sono seguiti con interesse da molti lettori. Tipico esemplare del progressismo liberal luogocomunista, nel senso di sostenitore di tutti i luoghi comuni dell’epoca, la sua penna non delude mai. Si è unito al coro scomposto di chi ha attaccato il neo ministro della famiglia Lorenzo Fontana citando con il cuore spezzato una frase della sconsolata esponente democratica Paola Concia, lesbica militante. A proposito delle famiglie gay, la coniugata signora ha dichiarato

                                  “Non facciamo male a nessuno!”

Un’ovvietà per Mattia Feltri, la cui tecnica preferita è l’indignazione a ciglio alzato mista a irrisione di chi è inevitabilmente dalla parte della storia, della logica, del senso comune violato da biechi reazionari. Costoro non hanno solo torto marcio, ma non meritano neppure di essere confutati nel merito, tanto è lampante il loro errore.

    Eppure, l’argomento della Concia accolto da Feltri non è solo insidioso.

                                      E’, purtroppo, assai potente.

Non fanno nulla di male le coppie dello stesso sesso desiderose di matrimonio.

  E’ il classico argomento vincente del relativismo etico individualista liberale.

                                  Pensiero debole, esito fortissimo.

Da ragazzini, partecipammo alla battaglia del referendum sul divorzio, in cui l’affermazione più comune, impossibile da confutare, era che nessuno era obbligato a divorziare. Si trattava solo di dare un’opportunità alle coppie infelici: nulla di male per alcuno. Nel frattempo il matrimonio, ancora limitato a un uomo e a una donna, si trasformava in un contratto. Comunque la si pensi, il divorzio facile ha mutato in profondità l’idea di famiglia e i rapporti sociali, dunque non era, non è, una norma neutra, una semplice scelta individuale che “non fa male a nessuno”.

 Aborto: stesso copione, stessi protagonisti                

Il copione si ripeté pochi anni dopo sul tema dell’aborto, ben più spinoso. Ebbene, a parte le disquisizioni sulla liberazione della donna (liberazione, non libertà!)

                 i colti, i riflessivi, i “moderni” tanto attenti ai segni del tempi,

            dissero con tono lacrimevole che abortire non era certo un obbligo

               e che in fin dei conti espellere quel grumo di cellule indesiderato

                                           non faceva male a nessuno.

         Per il nascituro interesse zero, per il padre un ruolo del tutto marginale.

         Che c’entrava lui con quell’escrescenza fastidiosa in un corpo femminile?

L’aborto si è banalizzato in fretta, nessuno ci fa caso, si sono acquietati anche i preti.

  Maschio e femmina li creò                                             

Un pensoso editoriale di prima pagina, stesso giornale del Mattia Feltri di Vittorio, avverte le forze oscure della reazione in agguato: “i sessi non sono solo due, fatevene una ragione”. Negare la realtà è facile, se hai l’intero schieramento mediatico a favore, il prossimo passo sarà esigere l’espunzione dal Genesi della frase sessista, politicamente scorretta e forse segretamente eteropatriarcale “maschio e femmina li creò”. Del resto, lo slogan, efficace visti i risultati, della legge francese sui matrimoni omosessuali fu “il matrimonio per tutti”. Già, perché prima era colpevolmente limitato a maschi e femmine, escludendo tutti gli altri sessi. Facciamocene una ragione: perbacco, non fanno male a nessuno, sono fatti loro, scelte individuali, chi siamo noi per giudicare (Bergoglius dixit). In fondo, che importa alla gente se in casa mia le pareti sono verniciate o tappezzate con carta da parati, se preferisco le patatine fritte alla verdura? Fatti miei, nessuno mi può giudicare. Individualmente, non essendo un lavoratore precario, non mi alcun male il lavoro flessibile, ergo non mi importa nulla di quello intermittente, somministrato e a chiamata. Nulla eccepisco allo sciopero dei bus perché uso il treno, furti, rapine e corruzione non mi riguardano se non ne sono la vittima diretta. E’ il liberalismo, bellezza. La società non esiste, farina del sacco della conservatrice Thatcher, ci sono solo gli individui, figurarsi la comunità. Una cappa di piombo, regole non scritte, valori obsoleti, il giudizio altrui che influenza la nostra vita.

 La dissoluzione concertata, premeditata                     

Meglio, molto meglio, la comodità (un concetto chiave, vago quanto onnicomprensivo) di liberarmi da ogni impaccio. I contratti si invalidano, il matrimonio è una trappola a tempo indeterminato, viva la libertà, la sessualità non può essere intralciata dal fastidioso fardello della possibile nascita di figli, le nozze valgono poco o nulla tranne nel caso che siano tra sposi dello stesso sesso (fu questa una delle maggiori preoccupazioni della neo-marxista Scuola di Francoforte: corrompere la società partendo dalla famiglia con mirate operazioni di ingegneria sociale – Ndr – vedi allegati). Allora, il matrimonio, cui dovrà essere rapidamente dato un nome meno imbarazzante, non legato all’antiquata figura della madre, diventa improvvisamente importantissimo. Deve essere “per tutti”, egalité,

                                                    che male c’è?

Nessuno, tranne la dissoluzione della comunità, la frantumazione delle famiglie,

                                     la perdita della stessa società,

        la mancata riproduzione biologica della nostra gloriosa civilizzazione,

   la più grande, la più perfetta, la più libera, il compimento ideale della storia.

A latere, la decomposizione della figura paterna, un rapporto tra i sessi (due, cinque, quanti, spiegatecelo affinché possiamo farcene una ragione) fatto di conflitti, distanza, rancore, una convivenza civile privata di qualunque valore comune. L’unico principio è che ciascuno ha i suoi o anche nessuno, con tutte le ostilità reciproche, le incomprensioni, i nuovi muri, le barriere di odio, l’assenza di codici comuni. Atomi reciprocamente ostili riuniti in sodalizi provvisori. Tuttavia, niente paura, la rivoluzione familiare, etica, civile di mezzo secolo “non fa male a nessuno”. Si limita a dissolvere. Un suicidio gaio, spensierato, tra musica e colori. Capitò anche al Titanic, orgoglio dell’ingegneria navale del primo Novecento. Affondò perché un iceberg, la natura, fu più forte del possente manufatto umano (almeno questa è la versione ufficiale… Ndr). La musica risuonò sino all’ultimo, i saloni erano pieni di gioia, la festa era all’apice. Poi, il colpo: prima, quell’iceberg non aveva mai fatto male a nessuno.

Roberto Pecchioli (Copyright © 2018 Qui Europa)

con integrazioni e note a cura della redazione

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