Le guerre create dagli Usa, la piaga del XXI Secolo

Giovedì, Settembre  27th / 2012

–  di Maria Laura Barbuto –

Mondo  / Piaga del XXI Secolo / NWO / Stati Uniti d’America / Libia / Iraq / Afghanistan / Yemen / Siria / Egitto / Guerra / Dittatura / Ribelli / Armi nucleari / Regimi / Diritti umani / Libertà / Media / Dignità umana / Quarto potere / Manipolazione dell’informazione / Oppressione / Interessi economici / Occupazione straniera / Ambasciate americane / Marines 7 Conflitti a fuoco / Morti / Economia / Politica Internazionale / Saddam Hussein / Muammar Gheddafi / Mohammed Morsi / Bashar al Assad / Christopher J. Stevens / Barack Obama / Romney /

Usa, maestri di manipolazione

dell’informazione e sovrani

della guerra

Proclamano i diritti civili e la libertà, pur

calpestandoli per i propri interessi

Libia, Siria e Yemen fotocopia di Iraq e Afghanistan:

le guerre indotte del XXI secolo

Washington, Bengasi, Tripoli, Damasco, El Cairo  –  Essere informati è un diritto vero e proprio: la buona informazione stimola i cittadini a creare le proprie opinioni ed a fare luce su uno spaccato di realtà. Il sistema mediatico, non per niente, viene definito come il “quarto potere” e questo ci permette di capire l’importanza ed il ruolo che i vari sistemi di comunicazione assumono nelle società complesse in cui viviamo. Società in cui le guerre, i rapporti di potere, i conflitti politici ed economici, la crisi mondiale e la venalità e avidità dei rappresentanti del “popolo” diventano realtà quotidiane con cui fare i conti. E se, la missione informativa dei media, si trasforma – come accade quasi sempre – in manipolazione delle notizie per favorire determinate situazioni o persone e scatenare, in coloro che fruiscono l’informazione, processi mentali volti a determinare specifiche convinzioni, possiamo dire che i mezzi di comunicazione agiscono, perdendo di vista il loro principale scopo, ovvero quello di creare, tra i vari utenti, consapevolezza di quanto accade nel mondo.

 La Democrazia in America… dall'11 Settembre 2001 

Una premessa questa che ci introduce , seppur virtualmente, in un sistema politico come quello degli Stati Uniti d’America, Paese dalle mille contraddizioni storiche, che proclama la libertà facendo la guerra. Noi di Qui Europa abbiamo spesso parlato delle cosiddette “guerre in fotocopia”, in cui gli Usa attaccano e invadono altri paesi per “tutelare la libertà, difendere i diritti umani e liberare i popoli locali dall’oppressione dei regimi”. Un nobile obiettivo di facciata che, concretamente, si traduce in interessi economici di grandissima portata. In questo processo di infame popolarità, il sistema mediatico americano – occidentale in genere, e non solo – si è inserito diffondendo informazioni falsate e manipolate a partire dall’11 settembre del 2011, quando l’attacco islamico (ilpresunto attacco islamico) alle Torri Gemelle ha messo in ginocchio non solo l’America, ma tutto il mondo. A seguito, prima l’invasione dell’Afghanistan, poi, nel 2003, quella dell’Iraq ad opera dei “democraticissimi” Stati Uniti.

 Le ipocrisie e la Vergogna del "Caso Iraq" 

Il dibattito sull’Iraq è, infatti, avvenuto in 2 fasi: 1) prima le (false e pretestuose) certezze esibite dall’amministrazione Bush e accettate come “fatti incontrovertibili” dalla stampa; 2) poi, dopo l’occupazione del paese ad opera delle truppe statunitensi, i forti dubbi per il mancato ritrovamento di ordigni nucleari, chimici o biologici, la presunta presenza dei quali era stata la scusa per attaccare l’Iraq. Una guerra in nome della libertà: gli Usa volevano distruggere il regime di Saddam Hussein, accusato di collusione con il terrorismo internazionale. Lo stesso regime appoggiato anni prima dal Presidente Usa Ronald Reagan. Raccapricciante!  Il dittatore iracheno, dopo essere stato sottoposto a processo per crimini contro l’umanità, nel 2006, è stato condannato a morte per impiccagione, con la completa soddisfazione dell’amministrazione americana che, per tutelare i diritti umani, alla morte e alla distruzione rispose con la “democratica pena di morte”.  L’errore del giornalismo firmato “Usa”- e di conseguenza di quello mondiale –  è stato quello di aver accettato passivamente il Washington Consensus e la soluzione "coloniale" imposta dalla Casa Bianca, non facendo luce sui fatti effettivi. 

 Il Caso Guantanamo 

Ma il giornalismo americano ha perso un’altra occasione per difendere le libertà civili in occasione delle detenzioni a Guantanamo: centinaia e centinaia di prigionieri rinchiusi nella base militare che gli Usa avevano a Cuba, definiti come “combattenti nemici”. L’amministrazione Bush si rifiutò di considerarli “prigionieri di guerra” e di applicare loro la Convenzione di Ginevra e, nello stesso tempo, sostenne che non si trattava neanche di “sospetti criminali” e quindi negò loro l’assistenza di un avvocato ed il ricorso ai tribunali civili. Nonostante  queste tesi fossero state giudicate incostituzionali dalla Corte Suprema, vennero tranquillamente accettate dai media.  

 USA – "Lezioni di Libertà" 

Eppure, proprio gli Stati Uniti, pretendono di fare lezioni sulla libertà, sul rispetto dei diritti umani e si ergono quotidianamente a salvatori del mondo (esportatori di democrazia "industriale"), protendendosi con l'appoggio delle colonie europee (e dell'italia), alla conquista di paesi più deboli con la scusa (per l'appunto) “dell’esportazione” della democrazia negli stessi. Ormai, però, sono tanti – e fortunatamente crescono ogni giorno – coloro che hanno scoperto le regole del loro gioco sporco: dal 2001 ad oggi, infatti, si sono ripetute situazioni e guerre, una dietro l’altra, sulla base delle stesse blande motivazioni.  

 L'Innocenza di Barack Obama 

10 anni dopo, cambia lo scenario ma non cambia la sostanza: nel marzo del 2011, ha avuto inizio l’intervento militare in Libia, inaugurato dalla Francia contro le forze terrestri di Gheddafi, intorno a Bengasi. Una guerra civile, quella scoppiata in Libia, tra i ribelli e i sostenitori di Gheddafi che ha avuto ripercussioni a livello internazionale e che, dietro le quinte, nasconde – come per l’Iraq e l’Afghanistan – qualcosa di poco chiaro. La dittatura di Muammar Gheddafi è durata 42 anni, sicuramente in uno scenario di sottomissione del popolo libico, del quale la comunità internazionale “non vedeva l’ora” di  prenderne le difese a tutela della dignità umana. Gli Stati Uniti, sempre schierati in prima fila per il rispetto dei diritti umani, hanno agito – probabilmente – fornendo armi ai ribelli e addestrandoli, nel vero senso della parola, alla guerra contro il regime, al quale sono riusciti a porre fine il 20 ottobre del 2011 quando, a Sirte, uccisero il dittatore Gheddafi , facendo calare il sipario sulla guerra civile. E se in Libia la situazione, ancora oggi, è infiammata e pericolosa, a riaccendere ulteriormente gli animi ci ha pensato il regista Sam Bacile, autore della pellicola “L’innocenza dei Musulmani”, mai andata in onda e della quale gira su YouTube il trailer considerato blasfemo e offensivo nei confronti del popolo di Maometto. L’ondata di sdegno per quest’offesa subìta si traduce con un attacco all’ambasciata americana a Bengasi, nel quale hanno perso la vita tre marines e l’ambasciatore Usa, Cristopher J. Stevens.  

 L'Atroce e Legittimo dubbio 

E se questo spezzone del film fosse stato creato e divulgato appositamente per permettere agli Stati Uniti di inviare nuove truppe in Libia? "A pensar male forse si fa peccato – diceva qualcuno di "nostra conoscenza" a Montecitorio – ma spesso ci si indovina!". Visti i precedenti, è un’ipotesi più che valida.

 Il "Solito Rifugio" Al-Qaeda 

Le proteste e le manifestazioni, intanto, sono arrivate anche in Egitto e non si esauriscono nella polemica per il film di Bacile. Il presidente egiziano, Mohammed Morsi,  il primo eletto democraticamente (?), ieri, nel suo primo intervento all’Assemblea delle Nazioni Unite ha espresso il proprio pensiero sulla condizione siriana, dichiarando che “L’Egitto è contro un regime che uccide la propria gente, così come è contrario ad ogni ingerenza straniera”. E proprio in Siria il clima di tensione è giunto all’apice: i diritti umani sono vincolati ai rapporti di forza. Gli Stati Uniti, in questa situazione, pare siano allineati perfettamente con Al Qaeda alla quale pare forniscano armi, denaro e tutto ciò che è “necessario”per il gruppo terroristico, svolgendo anche un’azione – tutta americana – di iniziezioni di terrore nei confronti del popolo siriano.

 La "Campagna Elettorale del Terrore" di Obama 

In Yemen la situazione non appare meno seria: le proteste e le manifestazioni violente sono all’ordine del giorno ed il Parlamento locale ha emesso un comunicato con il quale specifica che “respinge ogni forma di presenza ( forza militare) straniera nel Paese”. Ma tutta questa situazione di crisi del Medioriente e del Nord Africa (che qualcuno ha forse troppo sbrigativamente e superficialmente giudicato ottimisticamente con il termine di "Primavera Araba") pare vada a vantaggio del presidente americano Barack Obama il quale, nel pieno della campagna elettorale, sposta l’attenzione dei dibattiti politici dall’economia, argomento sul quale appare più vulnerabile, alla politica internazionale, argomento che invece non è tanto caro allo sfidante Romney. Una comunicazione pilotata, quindi: le manifestazioni di migliaia e migliaia di islamici, conclusivamente, servono per creare un alone di paura tra gli americani e convincerli che l’attacco armato sia unica soluzione possibile, per scongiurare la minaccia islamica. Tutto ciò, si traduce in termini di voto: convircere i cittadini della validità della tesi dell’attacco militare, significa convincer loro a votare  Obama. Una manipolazione delle coscienze che avviene nel pieno rispetto delle tradizioni e delle contraddizioni americane.

Maria Laura Barbuto (Copyright © 2012 Qui Europa)

 

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