Mi piace! Attenti alla psicometria digitale – Tecniche digitali di controllo di massa

Venerdì, 20 marzo / 2018 

– di Roberto Pecchioli –

 Redazione Quieuropa, Roberto Pecchioli, Facebook, Cambridge Analytica, Mark Zucherberg 

Mi piace! Attenti alla psicometria digitale

Tecniche digitali di controllo di massa: le nuove frontiere

del dominio globale

 

di Roberto Pecchioli 

PSICOMETRIA DIGITALE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Webeti                                                                         

Roma – di Roberto Pecchioli  Passata la festa, gabbato lo santo. Si sta attenuando la polemica alimentata dalla società dello spettacolo nel villaggio globale relativa al furto e all’utilizzazione politica dei dati di Facebook da parte di Cambridge Analytica. Ci stupiamo dello stupore. Il circo della disinformazione di massa ha scoperto e reso di pubblico dominio che 

         i nostri dati personali, raccolti, processati e profilati dai social media 

                          e dall’intera filiera della rete non sono protetti,

              ma vengono conservati, analizzati, studiati e compravenduti.

Quando i bambini fanno oh, come nella canzone di Povia… Occorre rendere merito al decalogo delle tecniche di manipolazione sociale diffuso da Noam Chomsky. Al primo punto c’è la strategia della distrazione. Mettiamola così: eravamo disattenti, non ci accorgevamo di nulla, intenti al ruolo passivo di spettatori o di “webeti”. Niente paura: creato ad arte il problema, basta fornire la soluzione (secondo punto). Mark Zuckerberg, guru, santone di Facebook, ma soprattutto accorto padrone globale, ce l’ha: obbligo di autorizzazione dei genitori per gli utenti minorenni. La montagna partorisce il classico topolino: nel mare della rete, nessuno controllerà e tutto continuerà come prima. Intanto il giovane miliardario digitale ha abbandonato per qualche ora l’amata maglietta grigia a maniche corte e si è presentato al parlamento americano in giacca e cravatta. Una finta Canossa, un finto Enrico IV ha facilmente evitato la scomunica ponendosi a disposizione del governo americano. D’ora in poi, collaborerà con più fervore con lo Stato profondo (CIA, NSA, apparato industriale e militare) che controlla la superpotenza, alla faccia della privacy e dei nostri diritti. Un’altra fazione del mega potere lo ha avvertito: possiamo far crollare in Borsa il titolo Facebook, la vecchia e la nuova economia devono mettersi insieme per costruire una tenaglia sempre più robusta. E’ il principio della rana bollita, ovvero la gradualità dell’azione. La rana non si accorge che l’acqua nel pentolone in cui è caduta viene scaldata progressivamente. Quando se ne rende conto, è troppo tardi. E’ quello che sta capitando a centinaia di milioni di utenti della rete che solo adesso, a rana bollita, stanno capendo di essere caduti in trappola. Qualche giorno fa, Jeff Bezos, padrone di Amazon, ha reso noto trionfalmente di avere cento milioni di abbonati ai suoi servizi di vendita online. Un popolo intero di cui egli sa tutto, come Zuckerberg della sterminata massa di utenti di Facebook, o Google, il potentissimo motore di ricerca con 900.000 (sì, novecentomila) server nell’intero pianeta.

 Profilazione                                                               

Dobbiamo saperlo: ogni volta che ci connettiamo, una quantità di cervelloni nutriti di algoritmi iniziano a lavorare. Svolgono un’operazione detta profilazione, cioè scoprono tutto di noi, proprio tutto, anche e soprattutto quello che teniamo più nascosto. Ci conoscono meglio di quanto ciascuno conosca se stesso. Non a caso, è il decimo punto del decalogo di Chomsky. Un altro ci informa che il potere si rivolge a noi come a dei bambini. Il meccanismo è visibile nella pubblicità, in cui, insieme con i toni euforici, o ipnotici, o volti a enfatizzare l’istinto sessuale, è ricorrente il richiamo all’elemento infantile. Puntualmente, bambini di tutte le età fanno oh; in queste settimane, è di moda, anzi è “virale” lo stupore per le manovre dei giganti tecnologici. Guarda un po’, ci controllano, conoscono i nostri gusti, le nostre idee politiche, i nostri sentimenti religiosi, e naturalmente, se ne servono. Abbiamo imparato diverse parole nuove: una è profilazione, ovvero la

                   ricostruzione di ogni aspetto della nostra personalità

un’altra è metadati, l’unione e il processamento informatico dei miliardi di informazioni che ogni giorno forniamo attraverso il nostro comportamento digitale, il data mining”, cioè la caccia spietata di ogni ragguaglio su tutti gli aspetti delle nostre vite.

 

 Psicometria                                                                    

La nuova scienza che usano i padroni globali si chiama psicometria. Si tratta dei

                                     metodi di indagine psicologica

                tendenti a misurare le funzioni mentali in generale e 

             le caratteristiche psichiche degli individui in particolare.

Si è sviluppata a partire dalla diffusione dei test psicologici per raggiungere l’attuale precisione a seguito della rivoluzione informatica. I terreni favoriti della psicometria al servizio del controllo sociale, il cui scopo finale, non dimentichiamolo mai, è il dominio delle nostre menti, sono i nuovi media tipo Facebook e i grandi motori di ricerca, ma funziona egregiamente anche la profilazione attraverso le carte di credito e le carte di fidelizzazione dei supermercati e centri commerciali. L’intero meccanismo ricorda da vicino le intuizioni di George Orwell su neolingua e bipensiero: un’importante catena commerciale italiana distribuisce una card il cui nome è Fidaty, con la ipsilon finale tanto fina per via dell’allusione cosmopolita. Ma il luogo prediletto di chi ci misura la vita è quel semplice gesto, il clic sull’icona del pollice alzato. Mi piace! e il gioco è fatto. Nessun sito o blog può ormai farne a meno: è semplice, interattivo, ipertestuale. Soprattutto è assai utile a qualcuno per sapere tutto di noi. La psicometria ha fatto passi da gigante e il suo profeta, guarda caso, è quel giovanotto dal viso efebico, uno proprio come noi, Mark Zuckerberg. Una delle applicazioni sperimentali elaborate si chiama Mypersonality, in collaborazione con l’università di Cambridge. Gli specialisti, dopo aver ottenuto con stratagemmi molto discutibili da ben 70 mila persone le risposte a un centinaio di domande mirate, hanno costituito quello che definiscono con orgoglio il maggiore database psicologico della storia. Attraverso di esso, l’applicazione acquisisce il numero e gli indirizzi informatici dei “mi piace”, l’età, i test e le immagini condivise (i post) il sesso degli internauti, ciò che hanno pubblicato, la loro localizzazione geografica, il numero di contatti e persino il loro stato sentimentale. Uno dei promotori, Michal Kosinski, già nel 2012 affermò di

  essere in grado, con meno di 70 “mi piace” elaborati, per l’esattezza 68,

            di individuare il colore della pelle di un utente di Facebook.

Nel 90 per cento dei casi è in condizioni di stabilire l’orientamento sessuale; 

         per l’ideologia politica, l’indice di successo è dell’85 per cento.

Ovviamente, conosce alla perfezione i tratti del nostro carattere per “farci incontrare persone simili”. Quelli come lui sono, bisogna ripeterlo? benefattori dell’umanità. Nessuno si impegna in studi tanto complessi senza uno scopo preciso. Il più immediato, ovviamente, è influire sulle nostre scelte di consumo sino a determinarle in anticipo, ma il gioco è ben più grande. Lo ha dimostrato il caso Cambridge Analytica, trapelato chissà perché, naturalmente con annesso retrogusto neo moralistico: ad appropriarsi dei dati sono i cattivi, Trump e i suoi strateghi, Putin, ecc..

            La verità, naturalmente, è che tutti utilizzano quelle fonti

                                              per i loro scopi.

Si è saputo che le poste pubbliche tedesche hanno venduto i dati di milioni di utenti, mentre il governo israeliano ha tranquillamente ammesso di fare commercio della banca dati della sanità pubblica. Tutto a fin di bene, sia chiaro… Sapranno di più sulle malattie, ci cureranno meglio, affermano.

         Intanto Big Pharma sa quando abbiamo preso il raffreddore,

                            se soffriamo di allergie stagionali

                         e quali farmaci ci sono stati prescritti.

PSICOMETRIA DIGITALE

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Il reale obiettivo                                                        

Invitiamo i lettori a fare una prova della capillarità del controllo esercitato dai signori della rete. Riunite qualche amico o i vostri familiari, e fate, dai rispettivi smartphone o computer, una ricerca su Google con la medesima parola chiave. Vedrete che la prima pagina proposta – quella che nel 90 per cento dei casi sceglieremo per gli approfondimenti – è diversa per ciascun navigatore. Segno che sanno meglio di noi come la pensiamo, a quali fonti preferiamo informarci, quali interessi coltiviamo e tanto altro. Hanno individualizzato la loro capacità di penetrare in ognuno di noi.

    E’ evidente che lo scopo non è di inondarci di messaggi pubblicitari.

   Quella è la superficie che cela un gigantesco progetto di dominazione,

controllo sociale, una dittatura digitale e tecnocratica di inaudita potenza,

                                     la più pervasiva della storia.

 Vivere nell'universo G.A.F.A.                                 

Il fatto è che chi possiede il significato delle parole, controlla presente e futuro, per cui chi mette in guardia contro il sistema è, nel migliore dei casi, un visionario e poi, via dileggiando, un complottista che crede nei rettiliani, uno psicopatico, un paranoico. Così, continuiamo a cedere dati, rivelare stili di vita, relazioni, “filìe” e fobie, specie attraverso quell’atteso, liberatorio “mi piace” per non rimanere isolati nel ciberspazio. Vivere fuori dall’universo GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) si trasforma in una resistenza impossibile, simile a quella dei soldati giapponesi nella giungla a guerra finita, oppure lo sterile passaggio al bosco del Ribelle di Junger. Le nostre tracce digitali sono il nostro autentico diario di vita, le relazioni che intratteniamo, le amicizie che coltiviamo diventano un’esposizione di prodotti in vendita per i giganti globali.

             Siamo costretti a far parte di una grande asta planetaria

                 che ci espropria della libertà, del diritto all’intimità,

                                                della personalità.

  Mi piace?                                                                    

La cronaca mostra che le prime vittime sono le generazioni più giovani, esposte a una serie di rischi inediti di matrice tecnologica. Pensiamo al fenomeno chiamato impropriamente bullismo, il cui terreno favorito è nelle reti sociali (cyberbullismo) e permea l’esistenza dei nostri figli e non solo la loro. La vita intera, minuto per minuto, è esposta al mondo. Fotografiamo noi stessi in tutte le situazioni, anche le più intime o imbarazzanti, tutti vedono dove siamo, che cosa facciamo, sanno che cosa pensiamo o mangiamo.

                                Ci esponiamo nudi, dentro e fuori,

                                al giudizio impietoso di chiunque.

Per i giovani è quasi un imperativo, un obbligo per far parte del gruppo. Chi è fuori, in un tempo di disgustoso conformismo, diventa il bersaglio dei peggiori sentimenti altrui, sotto forma di un invito suadente: commenta. Quante sofferenze sta causando questo esibizionismo virale, quante personalità sta ferendo o disturbando nella loro formazione, quante paure alimenta il giudizio a cui ci sottoponiamo inermi in attesa dell’approvazione (mi piace!) o dell’insulto sanguinoso di tante ombre non più persone nascoste dalla tastiera.

                                 Alcuni hanno persino il loro troll,

      qualcuno che li perseguita con denigrazione, insulto, offese, odio.

Intanto, silenziosi algoritmi continuano a profilare. Registrano, mettono a confronto, elaborano statistiche e ci vendono al miglior offerente. In fondo, il caso più innocuo è quello della ragione commerciale. Stanno mettendo all’asta proprio me, con il mio nome e cognome, le mie idee, le simpatie e le avversioni, i difetti e anche i miei vizi, nascosti a molti, ma non a loro. La psicometria, unita alla matematica degli algoritmi, ci vende mille volte al dì. Ma se qualcuno mi vende, significa che mi possiede, è il mio padrone e io sono il suo schiavo. Mi piace?

Roberto Pecchioli (Copyright © 2018 Qui Europa)

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