Martedì, Gennaio 8th/ 2013
– di Fraternità Maria Gabriella –
Cristiani di Siria / Cristiani / Aleppo [...]
Venerdì, 20 luglio / 2018
– di Roberto Pecchioli –
Redazione Quieuropa, Roberto Pecchioli, Francia, Croazia, Calcio, immigrazionismo, mondiali
Francia campione del mondo di contraddizioni,
colonialismo e paneuropeizzazione
Francia-Croazia: è stata lo specchio e la fotografia di due
realtà sociali e mondiali che vanno oltre il calcio
di Roberto Pecchioli
Francia: campione del mondo di cosa?
Roma, Parigi – di Roberto Pecchioli – Far ragionare certe persone è accanimento terapeutico. Lo pensavamo mentre un sinistrissimo compagno di caffè si scagliava contro i “nazi-croati” del calcio, indignato per le simpatie politiche raccolte dalla nazionale slava. Inutile spiegargli che le sue preferenze per l’armata multirazziale francese avevano un analogo sapore ideologico, sia pure di segno contrario. Sul piano sportivo, Vive la France, chapeau alla sua nazionale vittoriosa, nella quale i francesi d’origine sono davvero pochini. Oltralpe, nella polemica quotidiana di una società lacerata da mille questioni razziali, i francesi di stirpe li chiamano françaises souchiens, che, per l’analoga pronuncia, diventa “sotto cani “nel gentile eloquio degli immigrati di seconda e terza generazione. E’ accanimento terapeutico anche invitare ad un briciolo di equilibrio la muta degli odiatori di professione attivi sulle reti sociali, che hanno trovato un nuovo bersaglio, il giornalista sportivo Paolo Bargiggia. Il barbuto volto di Mediaset Sport ha infatti cinguettato su Twitter un messaggio filo croato. “Una nazionale completamente autoctona, un popolo di 4 milioni di abitanti, identitario, fiero e sovranista: la Croazia, contro un melting pot di razze e religioni, dove il concetto di nazione e patria è piuttosto relativo, la Francia.” In attesa di ulteriori leggi contro il pensiero, la psicopolizia è insorta, insieme con il Giornalista Collettivo mobilitato dai colleghi di Bargiggia. Il tweet esprima una constatazione elementare, ma si sa, la lingua batte dove il dente duole, e in poche battute sono uscite dalla tastiera di Bargiggia tutte le parole tabù di questi anni: identità, sovranità, autoctono, nazione, patria, oltre al tabù massimo, nei confronti del quale l’interdetto prevede la scomunica e la sospensione dal consorzio civile. Ha osato scrivere la parola razza! E’ del mestiere, non è un infortunio o una voce dal sen fuggita.
Multinazionale di colonialismo e immigrazionismo
Vale la pena allargare l’argomento e riflettere sulla contrapposizione che si è manifestata in Italia a livello simbolico tra gli appassionati che hanno tifato Croazia e quelli che si sono schierati con la Francia, senza dimenticare le notevoli inesattezze di Bargiggia. Ci trovavamo alla Stazione Termini durante la finale mondiale, in attesa del treno del ritorno. Sulla terrazza, un grande schermo mostrava la partita, a cui assistevano centinaia di accaldati viaggiatori di tutte le nazionalità. Almeno il 90 per cento era dalla parte della Croazia, certo non per ragioni politiche o razziali. Semplicemente, la Francia, bianca, meticcia o multietnica, non è simpatica per vari motivi, mentre la nazionale a scacchi biancorossi suscitava simpatia in quanto sorpresa inaspettata, tanto più rappresentando un piccolo Stato di poco più di quattro milioni di abitanti. Ciò che colpì noi, poco interessati alla partita, leggendo i giornali del mattino, furono due notizie di taglio assai diverso. In Francia, oltre 110.000 agenti e gendarmi, senza contare i vigili, erano mobilitati per l’evento e soprattutto per il temuto dopo partita. Il selezionatore croato Dalic, dal canto suo, rispondeva a un giornalista che gli chiedeva come avrebbe trascorso le ore precedenti la finale, dicendo che sarebbe andato a messa. La Francia calcistica ha vinto il campionato con merito, anche se non dimenticheremo il formidabile urlo di disapprovazione della Stazione Termini al rigore un po’ generoso che ha impresso la svolta alla partita.
La Francia “vera” ha perduto: due morti, centinaia di feriti e di arresti,
saccheggi e disordini dovunque nell’Esagono.
Masse di giovani cittadini francesi – ius soli – che odiano la Francia non hanno festeggiato la vittoria il cui merito principale va a campioni di origine africana, ma rivendicato rabbiosamente le loro radici. Io sono marocchino, io sono ivoriano, senegalese, algerino, scandivano. Avevano ragione; sono francesi per cittadinanza, ma continuano a vivere in gran maggioranza in quartieri, le banlieues, che sono ghetti etnici, casermoni orribili e fatiscenti ormai conquistati da una schiacciante maggioranza di extraeuropei. Le loro prospettive non sono migliori di quelle dei nonni arrivati in Francia durante l’era coloniale, dei padri importati a milioni da Mitterrand e Giscard per riempire i vuoti dell’industria e dell’edilizia (e in ottemperaza piena alle direttive del Piano Kalergi). Per molti, l’unica identità è la religione musulmana nella forma dell’islamismo radicale, per gli altri non resta che il sogno consumista irrealizzato.
Il fallimento della società multietnica
La società multietnica mostra nei loro volti furenti il suo fallimento. Molti non hanno più alcuna identità: non francesi, non più senegalesi, cambogiani, magrebini. Non è raro che, interrogati, dichiarino di riconoscersi soltanto nella loro banlieue e nei coetanei della stessa etnia: le fratrìe primitive. Non passa fine settimana in cui nella regione parigina, a Marsiglia Nord e in cento altre città grandi e piccole non scoppino incidenti, risse con la polizia, violenze. Il controllo del territorio è ormai un mito anche per l’orgoglioso spirito francese, l’illegalità è inevitabile e diffusa. Altrove, nella Francia “normale”, la lotta sociale è ripresa con vigore dopo l’iniziale idillio con il presidente Macron targato Rothschild. Scioperi, manifestazioni e occupazioni sono all’ordine del giorno, opportunamente silenziate in Italia da mezzi di comunicazione omertosi.
Grande alle spalle dell'Africa
Difficilmente la Francia manterrebbe la grandeur che ancora ostenta, né sarebbe considerata una potenza se non ricavasse somme enormi dalla politica neocoloniale in Africa. Non ci riferiamo solo al ruolo avuto nella destabilizzazione della Libia, all’origine della drammatica crisi migratoria, o agli interessi nell’area sub sahariana ma soprattutto ai
profitti legati alla gestione della sovranità monetaria di ben 14 stati africani,
la cui valuta, il franco CFA continua ad essere stampato e controllato
dalla Banca di Francia.
Non casualmente, sono i paesi da cui provengono milioni di nuovi francesi, tra i quali i campioni della nazionale di calcio. In compenso, chiudono la frontiera di Ventimiglia e irrompono alla stazione di Bardonecchia. Difficile essere filo francesi. Paolo Bargiggia, tuttavia, ha scritto una cosa palesemente errata. Il concetto di nazione e patria non è affatto relativo per i cugini transalpini. E’ anzi il principio fondante della Francia moderna, nata dalla rivoluzione borghese del 1789. Tuttavia, non regge, non può reggere all’urto dell’immigrazione extra europea e alla forte componente islamica. I francesi accolgono stranieri da oltre un secolo. La loro scelta è stata sempre l’assimilazione: si diventava per obbligo enfants de la patrie, figli della nazione, estirpando le identità altrui. L’operazione, tra alti e bassi, ha funzionato con gli italiani (i macaronì una volta detestatissimi, per quanto molti provenissero dal vicino Piemonte e dalla confinante Liguria), i polacchi, gli spagnoli e i portoghesi, ma non può funzionare con gli altri. I patriottici galletti avevano preventivamente distrutto, nel XIX secolo e nella prima metà del XX, le identità di milioni di concittadini. Baschi, catalani, occitani, fiamminghi, tedeschi dell’Alsazia e della Lorena, corsi, bretoni, italiani di Nizza sono stati privati della lingua e snazionalizzati. Gli insegnanti elementari arrivavano a sputare, in alcune scuole bretoni, in bocca ai bambini che si esprimevano nell’idioma locale. La loro nation è, era una cosa seria e per molti versi ingiusta. Con gli africani non funziona, e pazienza se la Marsigliese grida: marciamo! Che un sangue impuro impregni i nostri solchi.
Un pò di memoria storica
Il campionato del mondo di calcio è solo una manifestazione sportiva, ma è riuscito a mostrare diverse contraddizioni. Quelle italiane sono notevoli. Ammettiamolo: come Paolo Bargiggia, abbiamo tifato Croazia in uggia non a Macron o alla Francia, ma all’imposizione dell’immigrazione. Altri hanno scelto la Francia per la ragione opposta. Eppure, nessuna delle due realtà dovrebbe entusiasmarci. La Croazia non è un modello, né per noi, né in generale. La nazione balcanica ha in comune con la Francia un ‘idea di nazione che respinge l’altro da sé, e ne hanno fatto le spese gli italiani. Alla Francia cedemmo la città italianissima di Nizza al tempo di Cavour. Nella patria di Garibaldi si parlava l’italiano e il dialetto ligure. Un quarto della popolazione emigrò in Italia e in breve vennero chiusi i giornali di lingua italiana. Le tracce dell’italianità nizzarda sono cancellate da tempo, come quelle dei paesi liguri di Briga e Tenda, in val Roja, terre povere di pastori di montagna, che i francesi vollero annettere nel 1947, si dice per giacimenti minerari che non trovarono. Ai pochi abitanti, nessuna tutela culturale, enfants de la patrie come tutti gli altri. Imparassero il francese. Nella storia ce n’è per tutti, e tifare Croazia non rende onore al nostro senso nazionale. Bando agli odi del passato, certo, ma oltre 300 mila italiani dovettero fuggire da Istria, Fiume e Dalmazia tra il 1943 e il 1947, nella zona B del Territorio Libero di Trieste (Umago, Buie, Cittanova) sino al 1954. Sono rimasti poco più di 20 mila connazionali, un solo minuscolo paese, Grisignana, ha conservato la maggioranza italiana. Nuovi umori ultranazionalisti minacciano il loro futuro, anche se l’obiettivo è quel che resta della minoranza serba, duecentomila persone. Nel corso delle guerre degli anni 90, a centinaia di migliaia sono stati espulsi con la forza dalle loro case, è toccato ai croati di Serbia e ai serbi della Krajina, nell’interno della Dalmazia, croata per aver cacciato gli italiani in due ondate, dopo le due guerre mondiali. Caro Bargiggia, saranno fieri e identitari i vicini con la bandiera a scacchi, ma a farne le spese sono state comunità radicate da secoli colpevoli unicamente di non essere croate. Ragioni e torti si rincorrono e si intrecciano. Ecco perché sarebbe opportuno ricondurre lo sport a se stesso, scacciando la tentazione di farne veicolo di rivalse e umori velenosi, magari contestandone la deriva industriale, il suo essersi trasformato in una appendice del mercato globale, sganciato da genuine passioni, denaro, bilanci truccati, sospetti. Una trappola dei sentimenti buona per gli ingenui e per gli odiatori, i miseri guerrieri della tastiera protetti dall’anonimato. Approfittiamo, come italiani immemori, per recuperare un po’ di memoria storica, depurata dai rancori di ieri e dell’altro ieri, e riconosciamo che è triste accapigliarci per i risvolti politici o etnici del tifo sportivo altrui. Identitari o multirazziali, loro c’erano. Noi guardavamo la televisione, con le nostre urticanti passioni politiche, con una certa invidia, e, ahimè senza rinunciare a essere guelfi e ghibellini in conto terzi. Italia…
Roberto Pecchioli (Copyright © 2018 Qui Europa)
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