Europarlamento: paradossi e stranezze da Primavera Araba

Sabato Maggio 12th / 2012

– di Sergio Basile – 

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PE – Più commercio per "Esportare

Democrazia" nei paesi della "Primavera araba" 

Il senso della "risoluzione non legislativa" scritta 

dall'Europarlamento, in lingua  "Neo-liberal" 

I pesanti interrogativi sulle rivoluzioni

della "Primavera araba"

Bruxelles – "L'Ue deve fare di più per promuovere la democrazia e la stabilità nei paesi del Mediterraneo meridionale, promuovendo relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose!" A sostenerlo, la maggiornaza dei gruppi parlamentari dell'Eurocamera, pronunziatisi nelle scorse ore nell'emiciclo di Bruxelles. "Gli sforzi – si legge nella relazione votata – dovranno essere concentrati soprattutto sulle piccole imprese, in quanto principali motori di creazione di occupazione e ricchezza". Il tema è stato al centro di una risoluzione sulla strategia commerciale dell'Ue per il Mediterraneo meridionale, adottata giovedì scorso con 476 voti a favore, 64 contro e 40 astensioni. I deputati – o almeno la maggiornanza di essi – hanno chiesto all'Ue ed agli Stati membri, dunque, "maggiori sforzi per sostenere la transizione verso la democrazia nei paesi della Primavera araba". Ma di che "Democrazia" si tratta? Cosa sta accadendo veramente in Medioriente e nelle regioni delle "primavere"? 

  Qual'è il vero volto delle "primavere Arabe"?  

In effetti, quando sentiamo espressioni come "esportare la democrazia" o "Primavera della Democrazia" viene in testa uno strano prurito, che pian piano – nostro malgrado – si trasforma di un senso di profondo fastidio. Ma, alla luce di ciò che i media nazionali dicono (e, soprattutto, di quello che non dicono) è mai possibile che dall'Iraq (dalla bufala dell'Iraq) in poi qualcuno abbia d'improvviso dipinto un sole ed acceso un caldo condizionatore, davanti ad una telecamera, convincendoci che la Primavera fosse ormai alle porte anche se fuori dalla finestra il gelo regnava e regna incontrastato? Potrebbe essere! Anzi, ne siamo certi! In effetti, noi di "Qui Europa", in una chiacchierata fatta qualche mese orsono con un dirigente di un ufficio tecnico dell'Eni – profondo conoscitore, per motivi di lavoro,  del Medioriente, ed in particolare della Siria, della Tunisia e della Libia – avevamo affrontato il suddetto tema, interrogandoci sull'autenticità e sulla spontaneità dei vari fenomeni e movimenti rivoluzionari di protesta, inquadrati dalla stampa nazionale ed europea col generico termine di "Primavera Araba". Movimenti che ormai, da più di un anno a questa parte, hanno destabilizzato, e lo stanno facendo ancora oggi, l'intero Medioriente, la Libia, l'Egitto, la Siria e molti altri stati prima sotto l'egemonia sovietica. La risposta del funzionario – dataci in un confronto molto confidenziale, dinnanzi ad un buon panino – non ci ha meravigliato pù di tanto.

  Senza dollari non si fanno rivoluzioni!  

"Senza soldi ed armi non si fanno rivoluzioni!" La sua lapidaria quanto eloquente risposta. Allora un'altra domanda nasce spontanea: chi avrebbe interesse a finanziare le rivoluzioni? Chi avrebbe così tanti soldi da investire al fine di promuovere e favorire il rovesciamento di governi (evidentemente scomodi)? Governi retti da leader magari – fino a qualche mese fa – adulati e lusingati, dagli stessi personaggi che ne hanno poi favorito la repentita e cruenta caduta (vedi Gheddafy). E ciò, spesso, proprio nell'ambito di pretestuosi meetings internazionali sul "rispetto dei diritti umani", organizzati in pompa magna – sul sottile filo della geopolitica  e del politically correct – con lo scopo subdolo di ottenere benefici diretti (o latenti) o concludere qualche ricco contratto. Provvidenziali, in merito, sono stati due servizi giornalistici, uno presentato dalla giornalista Rai, Milena Gabanelli, in "Report" e l'altro apparso sul sito JourneyMan.tv – passati per la verità quasi inosservati su giornali e tv – nei quali è stato mostrato chiaramente come  le suddette Rivoluzioni  – in pratica nella loro totalità – siano state direttamente e lautamente finanziate – nonché organizzate e dirette – da sedicenti Organizzazioni Non Governative (ONG) Statunitensi (capeggiate dal – National Endowment for Democracy, agenzia di facciata della CIA – vedi anche http://www.altrenotizie.org/pescati-nella-rete/3545-ned-verina-legale-della–cia.html ) e da agenzie federali Usa con sede a Washington, come l'Usaid. Ciò, al fine di  destabilizzare ed abbattere – come dimostrato su dozzine di tabloid indipendenti e di rilievo  internazionale –  governi scomodi agli interessi del triangolo Washington-Londra-Tel Aviv & C.

  L'arte di leggere tra le righe   

Ma a quanto pare il giornalismo d'inchiesta è un qualcosa che mal si digerisce nella "Democratica Europa"(oggi in palese e crescente crisi d'identità) e specie nella "democraticissima Italia". Allora, per tornare alla risoluzione che nelle scorse ore ha tenuto banco a Bruxelles, i deputati – anche qui in maggioranza cristallizzati all'interno di rigidi schieramenti partitici, dove le voci fuori dal coro sono sempre poche e spesso strategicamente isolate – si sono limitati ad osservare gli effetti e le opportunità della sfera economica dei disordini arabi, guardandosi bene dall'entrare nel merito della vicenda: almeno per quanto attiene alle conclusioni o alle "nuove verità" affiorate alla luce dei pesanti reportage diffusi e sopracitati.

  L'Europarlamento e l'eco d'oltreoceano   

Ciò, dimostrandosi perfettamente in linea con l'eco della versione ufficiale risuonata d'oltreoceano: amplificata a dovere da Hillary Clinton, Barak Obama e friends.  "Fino ad ora, la risposta politica alla Primavera araba – hanno affermato, nella risoluzione, i deputati della commissione parlamentare redigente  – è stata debole". In particolare,  secondo il relatore Niccolò Rinaldi (eurodeputato di centrosinistra, confluito nel gruppo ALDE) il vero punto della questione sarebbe quello di capire "cosa gli europei possono fare per aiutare queste persone, che si stanno avvicinando alla democrazia, aiutandoli a comprendere che esistono prospettive per una vita migliore". Certo è che, se il modello di democrazia esportato nelle aree dei disordini, è lo stesso "esportato" da Monti e Papademos in Italia e Grecia, c'è da stare davvero tranquilli. Ma evidentemente – come sempre – la soluzione ai disordini torna a ruotare sull'economia e sul "solito mercato", senza comprendere che magari la democrazia non è qualcosa che si esporta come lo jogurt, lo zucchero o il caffè, ma è qualcosa di innato ed insito nel dna degli stessi popoli: frutto cioè di lunghi processi storici, influenzati – come noto – da componenti e prerogative sociali, religiose  e culturali, nel senso più lato del termine.

  Democrazia e "Bombe di Riso"   

Sarebbe ora – dunque – di iniziare a parlare di politiche serie di dialogo tra le Nazioni, facendo proprie espressioni eterne e di "valore assoluto" come quella pronunziata un dì dal politico-santo Giorgio La Pira (storico ed amato sindaco di Firenze negli anni Sessanta) secondo il quale sarebbe stato necessario "bombardare il mondo con bombe di riso".  Ma evidentemente il problema della scarsità delle risorse mondiali e della scarsità delle riserve primarie (energetiche ed alimentari) da impiegare a sostegno dell'industria secondaria delle multinazionali, sembra prendere il sopravvento su tutto il resto: perfino sul rispetto della cultura, della libertà e della stessa dignità di interi popoli. Da queste parti, infatti (come La Pira da lassù osserverà impietrito) si bombarda, ma non con il riso. Le rivoluzioni, dunque, sembrano essere diventate il più grande business del mondo. 

  Più potere alle piccole imprese  

Allora ecco spuntare il termine di "strategia commerciale". D'altra parte – qualcuno potrà obiettare – ci deve essere pur qualche volenteroso che si incarichi della ricostruzione sociale ed economica delle regioni medesime! Come dargli torto! Peccato che in fondo gira e rigira, i volti dei salvatori delle patrie siano sempre gli stessi. Ma – tornando per un attimo allo specifico della "strategia commerciale" – Il Parlamento europeo avrebbe di fatto deciso di puntare sul sostegno delle piccole e medie imprese (Pmi) mediorientali, dalle quali dipende oggi circa il 30% dei posti di lavoro, e pertanto – secondo il relatore – poli "cruciali per lo smantellamento delle oligarchie come attori chiave". Il Parlamento ha inoltre chiesto alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo di indirizzare gli investimenti verso le piccole e medie imprese, e alla Banca europea per gli investimenti di fornire alle Pmi programmi di microcredito e di controgaranzia. Ciò, accanto all'istituzione ed "esportazione" di programmi Ue, quali l'Erasmus e il Da Vinci Euromed; nonché all'apertura di camere di commercio europee insieme ai paesi partner. Come dire: vadano bene gli aiuti (sacrosanti e provvidenziali) ma meglio se accompagnati da redditizie aperture di linee di credito e da un pò di "sana cultura made in Ue"

  Problemi di libero scambio? "Ma mi faccia il piacere"!  

Il Parlamento ha poi auspicato che "l'impulso dato dalla Primavera araba" (forse non hanno ben compreso tutti i risvolti di tali "provvidenziali sconvolgimenti": o, al contrario – può esistere il rischio – che lo abbiano capito fin troppo bene) possa stimolare il progresso verso una zona di libero scambio euro-mediterranea e possa appoggiare i negoziati volti a stabilire zone di libero scambio globali". Insomma, un Europarlamento all'insegna degli aiuti, ma anche del più palese e deleterio mondialismo. Sarà inoltre interessante capire e vedere come reagiranno le Pmi italiane o elleniche dinnanzi all'invasione di nuovi prodotti e manufatti mediorientali a prezzi stracciati. Voi che dite? Ma a questo ci avrebbe pensato, nel corso del dibattito, lo stesso eurodeputato Rinaldi, che avrebbe rassicurato i deputati "preoccupati per il potenziale impatto del libero scambio sui contadini dell'Unione", sottolineando il "notevole surplus commerciale dell'Ue nel settore agricolo con tali paesi e i benefici che i consumatori dell'Ue trarrebbero dall'apertura dei nostri mercati". Ma francamente nessuno ha ben capito quali siano! Forse neppure lui! Qualcuno spieghi a Rinaldi – tuttavia – che a beneficiarne saranno – come al solito – le lobbies e le multinazionali. Insomma, malgrado i fallimenti del liberismo economico, in Europa si continua a favorire in maniera grave e dissennata una globalizzazione selvaggia, spacciandola ancora – con una ormai becera ed insostenibile retorica – per un'opportunità storica! Come direbbe il grande Principe De Curtis: "Ma mi faccia il piacere!"

  Economie africane dopo la "Primavera Araba"  

Nella risoluzione, infine,  Rinaldi ha sostenuto come la povertà sia "un male persistente nelle campagne" sottolineando (crediamo con "vibrante e sentita partecipazione": per rubare un'espressione cara al nostro carissimo Re Giorgio Napolitano) come la disoccupazione cronica colpisca soprattutto i giovani africani e tunisini. Ciò, però, dopo aver osannato e salutato benevolmente il rovesciamento della maggior parte dei dittatori delle aree monitorate ed aver proposto quale panacea a tutti i mali elencati, l'esportazione di un modello di economia di mercato neo-liberista, al fine di – si legge nel testo della curiosa risoluzione – "contribuire al progresso economico e sociale nei paesi del Mediterraneo meridionale". A voi le dolci conclusioni.

Sergio Basile (Copyright © 2012 Qui Europa)

 

 

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2 Responses to Europarlamento: paradossi e stranezze da Primavera Araba

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