Trattativa Stato–Mafia: la Difesa di Mancino e l’attacco di Napolitano

Martedì, Luglio 17th / 2012

–  di Maria Laura Barbuto e Sergio Basile –

Italia / Stato / Mafia / Cosa Nostra / Accordo stato-mafia / Trattative / Bombe / Reati / Associazione mafiosa / Organizzazione Criminale / Processo / Intercettazioni / Presidente della Repubblica / Ministro della Giustizia / Ministro dell’Interno / Negoziati / Procure / La 7 / Borsellino / Mentana / Mancino / Martelli / Arlecchi /

Trattativa Stato–Mafia: Mancino "racconta la

sua" a La7, Napolitano attacca Palermo

Le dure repliche al Colle del PM Antonio Ingroia e dei 

magistrai di Palermo

Salvatore Borsellino chiede l'Impeachment:

"Napolitano si dimetta!"

Roma –  All’indomani della chiusura delle indagini per le trattive Stato–Mafia che nei primi anni Novanta hanno dettato la legge del “compromesso sociale” e che hanno portato “alla luce” i nomi di 12 persone coinvolte tra politici e mafiosi, a parlare è l’ex Ministro dell’Interno, Nicola Mancino. In un’intervista televisiva concessa all’emittente La7, l'indagato Mancino dichiara: “Non sono stato io il morbido di quella situazione” – ha detto – “e, tra l’altro, non ricordo il contenuto delle due telefonate intercettate anche perché ho scritto una lettera al Capo dello Stato”. Così, l’ex Ministro dell’Interno ha commentato il suo ricordo di quel lontano e terribile 1992 e a chiesto a gran voce “un’unità di giudizio e un coordinamento tra le procure” visto che le Corti interpellate si sono pronunciate diversamente. ciò, in quanto una ha stabilito che il negoziato fu avviato dallo Stato, mentre l’altra avrebbe affermato che non ci fu l’intervento di alcun ministro. Nella trasmissione condotta da Enrico Mentana, Nicola Mancino, ha raccontato il suo incontro con il giudice Paolo Borsellino: ha ricordato la stretta di mano avvenuta tra i due ed ha aggiunto di essere stato l’autore di una legge che ha permesso che si svolgesse il maxi-processo a Cosa Nostra, disegnando (almeno a parole) il  lavoro portato avanti contro la mafia.

   Due Sigarette di Troppo  

D'altra parte la memoria storia ci ricorda che il celebre incontro fu lo stesso – ed a raccontarlo è stato il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore – che vide uno scosso Paolo allontanarsi dalla stanza di Mancino fumando contemporaneamente, e senza neppure accorgersene, addirittura due sigarette. Chiaro segno che qualcosa di ancora poco chiaro, evidentemente, in quell'incontro avvenne.

   La "Linea Scotti" e la "Linea Mancino" 

Mancino fu erede di Scotti che, secondo le indiscrezioni e  dichiarazioni varie, “era un predecessore troppo rigido nei confronti della mafia e, pertanto, non piaceva molto alla Democrazia Cristiana”.  A sostenerlo è Claudio Martelli, Ministro della Giustizia in quegli anni tremendi per la storia dell’Italia, anch’egli ospite a La7 da Mentana. “Ci fu una coabitazione, un insieme di contatti tra lo Stato e la mafia dopo la strage di Capaci – sostiene Martelli – e mai – aggiunge – un’opera di contrasto vero e non occasionale”.

  La Regia di Andreotti?  

Dure le dichiarazioni di Martelli, ma ancora più dure quelle di Pino Arlacchi, in quegli anni consulente sia di Mancino che di Scotti: come riporta Il Messaggero di oggi direttamente dalle sue colonne. Secondo Arlacchi: “Il vero capo del Partito non anti-mafia era Andreotti”. Dal canto suo, Nicola Mancino ha dichiarato che “Molti, nella Dc, erano contrari al decreto Falcone, varato subito dopo la strage nella quale il magistrato rimase vittima. "Io, invece  – ha continuato – l’ho sempre promosso (…)  ed è proprio grazie ad un mio emendamento che la DIA divenne operativa”. Quale sarà la verità? L’unica certezza è che gli anni Novanta, nella storia d'Italia, rappresentano un buco nero che, probabilmente, mai vedrà la luce. Anche se noi ci speriamo vivamente nel nome di due "Eroi Veri" della nostra Repubblica: Giovanni falcone e Paolo Borsellino. 

  La scomoda Posizione di Giorgio Napolitano 

Ma – a parte le difesa di Mancino a La7 – restano comunque "sul tavolo dei giochi", delle intercettazioni (una sorta di asso nella mianica dei Pm di Palermo) che pesano come un macigno sia sull'Ex-Ministro degli interni, sia – evidentemente – sullo stesso Colle, dove Giorgio Napolitano nelle scorse ore è apparso sempre più nervoso, incaricando l’avvocato generale dello Stato di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinnanzi alla Corte Costituzionale, ovviamente, nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo. La ratio posta a giustificazione di tale atto del Quirinale – in verità piuttosto debole – consterebbe nelle decisioni assunte dalla Procura di Palermo sulle  ormai "arcinote" intercettazioni afferenti alle conversazioni telefoniche del Capo dello Stato (Nello specifico una sua telefonata con l’ex ministro Nicola Mancino).

  La scomoda difesa del Colle 

Il Presidente Napolitano, sempre nelle ultime ore, ha spiegato che la scelta di procedere su questa strada sarebbe legata al fatto che "il Capo dello Stato (cioè egli stesso) ha ritenuto le decisioni della Procura siciliana – anche se riferite a intercettazioni indirette – lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione”.

  La replica della Procura di Palermo 

Ovviamente di parere diametralmente opposto – rispetto a Giorgio Napolitano – i magistrati della Procura di Palermo (Il PM Antonio Ingroia e i sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo, e Palermo Guido) secondo i quali  “L’operato della Procura di Palermo nell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia risponde ai principi del diritto penale e della Costituzione e nelle intercettazioni non sono state violate le prerogative costituzionali del capo dello Stato”. Dunque Ingroia ed  suoi hanno rigettato con forza quello che – secondo gli stessi magistrati – avrebbe – evidentemente – tutto il sapore di un ennesimo "attacco ingiustificato" verso una Procura coraggiosa e capace – malgrado i tanti ostacoli – di riaprire le inchieste sulle stragi di mafia del 1992 e sulla pare ormai "certa" trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra.

  La Durissima Replica di Paolo Borsellino 

Ancor più secca e spiazzante la replica alle parole ed agli atti di Giorgio Napolitano, da parte del fratello del magistrato ucciso, il provato e tenace Salvatore Borsellino, fratello di Paolo. Borsellino, che – nelle ultime ore – ha criticato apertamente il Presidente della Repubblica, accusandolo di "Attentato alla Costituzione", e chiedendone la messa in stato d'accusa (impeachment) nonché le dimissioni. Secondo Salavatore Borsellino, infatti, l'iniziativa di Napolitano rappresenterebbe nei fatti un gravissimo atto "contro una Procura (quella di Palermo) che sta cercando di fare luce su quello che è successo e che ha portato alla strage del 19 luglio 1992″. Il mistero s'infittisce, ma la verità potrebbe essere colta, forse, tra le pieghe sgualcite ed ingiallite del ricordo e della storia di quell'anno maledetto, ma – d'altra parte – benedetto per le redivive speranze di cambiamento di tutte le vittime delle ingiustizie e degli abusi; e verso tutti coloro che ancora credono nei valori eterni, superiori e sacri della Giustizia.

Maria Laura Barbuto, Sergio Basile  (Copyright © 2012 Qui Europa)

 

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