Universo Acqua – Che sprechi e veleni non siano la scusa per Privatizzare

Lunedì, Marzo 31st/ 2014

– di C.Alessandro Mauceri  / Redazione Quieuropa –

Approvvigionamento idrico, Ordinanza Sindacale n. 79/OS del 12/03/2014, Ordine dei medici di Roma, ASCII, Legambiente, WFD, C.Alessandro Mauceri, privatizzazioni facil, strategie dell'élite europeista 

Universo Acqua – Che sprechi e veleni non siano

la scusa per Privatizzare

L'acqua è oggi un bene preziosissimo, anche se mal gestito. 

Dietro quest'attenzione mediatica potrebbe nascondersi 

una strategia dell'élite per privatizzare ed espropriare…

     

di C.Alessandro Mauceri / Redazione Quieuropa

acqua pubblica, sprechi e strategie - squali privatizzazioni

 Deroghe ad avvelenare                                                                                             

Palermo, Roma – di C.Alessandro Mauceri – L’acqua è un bene primario. Forse è anche per questo che, nel 2001, il Parlamento ha recepito la direttiva europea che fissava alcuni valori massimi di sostanze inquinanti. Immediatamente, però, ci si rese conto che molti dei comuni italiani non disponevano di siti di approvvigionamento idrico e di impianti di distribuzione rispondenti alle nuove regole. In altri casi il sistema per la fornitura di questo servizio ai cittadini era spaventosamente farraginoso e inefficiente (basti pensare che, solo in Sicilia, si contavano 424 fra municipalizzate, enti e consorzi). E cosa ha fatto lo Stato? Come ormai prassi, lo Stato ha deciso di lavarsene le mani (mai termine fu più adeguato) e ha cominciato a concedere “deroghe”. Ma cosa vuol dire “concedere deroghe” nel caso della fornitura di acqua potabile? Significa che lo Stato concede ai Comuni la possibilità di distribuire acque non potabili (se non addirittura nocive per la salute dei cittadini) a patto che ciò avvenga per periodi limitati e che se ne informi la popolazione.

 Potabilità da decreto                                                                                                 

Negli ultimi tredici anni, per questo motivo, sono stati emessi non uno, ma bensì 87 decreti ministeriali (cui si sono aggiunti una marea di avvisi di non conformità) contenenti “deroghe” alla “potabilità dell’acqua” in molte regioni (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria e Veneto oltre che nelle province autonome di Bolzano e Trento). Gli abitanti di molti comuni di queste regioni hanno visto uscire dai propri rubinetti (e hanno pagato lautamente) acque rese utilizzabili (ma molto spesso non “potabili”) solo grazie ad un pezzo di carta, un’autorizzazione a non rispettare i criteri di salubrità delle acque a patto che si provvedesse entro breve tempo ad adeguarsi ai parametri comunitarie che se ne informasse la cittadinanza. Questo anche quando i livelli di  arsenico, boro, cloriti, cloruri, fluoro, magnesio, nichel, nitrati, selenio, solfato, trialometani, tricloroetilene, vanadio contenuti nelle acque che uscivano dai rubinetti delle case erano ben al di sopra dei livelli considerati tollerabili dal corpo umano. Anche in questi casi l’acqua è stata distribuita ben sapendo che, se bevuta o usata in modo errato (ad esempio per lavare le verdure) avrebbe avuto gravi effetti sulla salute dei cittadini: qualche anno fa, un’indagine epidemiologica nel Lazio dava un milione di abitanti a rischio di tumore per il consumo di acque all’arsenico.

 E il diritto all'informazione?                                                                                  

Quanto poi all’informazione, spesso questa è stata limitata alla pubblicazione di un avviso sul sito dell’ente gestore del servizio idrico. Ad esempio, quanti sono i cittadini che abitano nel quartiere di Borgo Nuovo, a Palermo, che sanno che, a seguito di una difformità riscontrata dalla ASP, non avrebbero dovuto utilizzare l'acqua per usi alimentari? (vedi Ordinanza Sindacale n. 79/OS del 12/03/2014, revocata il giorno dopo). Eppure la notifica è stata pubblicata sul sito dell’ente gestore l’AMAP. Ma limitarsi a questo sarebbe come sperare che i cittadini, appena alzati, prima di lavarsi o di fare il caffè, si collegassero al sito dell’AMAP per verificare se l’acqua che esce dal rubinetto di casa per riempire la caffettiera è potabile o no……La dimostrazione che questo modo di operare non funziona la si è avuta  qualche giorno fa. Le acque di una vasta area del pescarese – come emerso nei giorni scorsi dai TG e dal servizio di "Striscia La Notizia"- son state contaminate dalla mega discarica di veleni tossici. Lo afferma una relazione dell'Istituto Superiore di Sanità che ha analizzato per l'Avvocatura dello Stato le acque: "L'acqua contaminata è stata distribuita in un vasto territorio e a circa 700 mila persone senza controllo e persino a ospedali e scuole". "La qualità dell'acqua è stata indiscutibilmente significativamente e persistentemente compromessa", prosegue la Relazione dell'ISS. "La mancanza di qualsiasi informazione relativa alla contaminazione delle acque con una molteplicità di sostanze pericolose e tossiche, solo una parte delle quali potrà essere tardivamente e discontinuamente oggetto di rilevazione nelle acque, ha pregiudicato la possibilità di effettuare nel tempo trattamenti adeguati alla rimozione delle stesse sostanze dalle acque"…..

 Alcuni dati interessanti sulla gestione delle acque                                        

A volte le conseguenze derivanti dalla contaminazione delle acque hanno effetti nocivi anche solo con il contatto. L'Ordine dei medici di Roma, alcuni giorni fa, ha inviato ai medici di alcuni quartieri colpiti da una delle tante “emergenze” idriche, un vademecum sui pericoli che si corrono utilizzando l'acqua. Molti residenti infatti, pur smettendo di bere, continuavano a farne uso per lavarsi. E questo, nonostante fossero stati predisposti alcuni serbatoi idrici per la fornitura di acque “pulite”. Senza contare che spesso la rispondenza ai parametri di salubrità non è basata su principi scientifici, ma sui decreti sopra fissati che ormai si ripetono con cadenze quasi costanti, in barba al principio di unicità (e con ovvi danni per la salute dei cittadini). Sempre per restare con l’esempio della Sicilia, dal 2002 al 2012, sono stati emessi ben sette decreti per consentire l’utilizzo di acque potabili in deroga ai parametri considerati limite….. (dati ASCII). Come se non bastasse le condutture che portano l’acqua  alle utenze spesso sono dei veri e propri colabrodo. Se già è grave il dato nazionale (il 29,3% nel 2004 e 37,3% nel 2009 delle acque va “perduto” o finisce non si sa dove), in Sicilia la situazione è ancora peggiore, specie in alcune province: ad Enna va “perduto” il 48,4% dell’acqua (dato 2009), a Caltanissetta e Trapani dal 53,3% al 55,7%, a Siracusa il 45,1%. Per Palermo l’ultimo dato disponibile (riportato nel Piano industriale 2010-2012 dell’AMAP) parla di perdite pari al 41,1% nel 2008. Come ha ammesso la stessa AMAP: “I motivi di tale discrasia [fra i volumi di acqua immessa ed erogata n.d.r.] sono certamente molteplici (…) in primo luogo il sistema di misura del volume prodotto ed immesso in distribuzione, che in conseguenza della complessità del sistema di approvvigionamento, con fonti dislocate nel territorio, risulta in parte carente ed in parte obsoleto”.  E quali sarebbero le conseguenze di tutto ciò?

acqua pubblica, sprechi e strategie - squali privatizzazioni

 La direttiva quadro sulle acque 2000/60                                                           

Secondo una ricerca di Legambiente, solo nel 2011 le acque distribuite sarebbero state contaminate con oltre 140 tonnellate di metalli pesanti e quasi 2,8 milioni di tonnellate di sostanze inorganiche (cloruri, fluoruri e cianuri) di cui quasi la metà derivanti da attività di tipo chimico. Una situazione allarmante. “Tra le sostanze organiche ritenute pericolose in via prioritaria rientrano l’antracene, il benzene, gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici)”. Il vero problema, però, (di cui nessuno parla) è che alla fine del 2015 scadrà il termine per il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dalla direttiva quadro sulle acque 2000/60 che prevede i parametri per il conseguimento (o mantenimento) del “buono” stato ecologico per tutti i corpi idrici. Senza considerare che in Italia (come emerge anche dalla relazione sull’attuazione della WFD presentata nel 2012 dalla Commissione europea) non si sa neppure con esattezza quale sia realmente lo stato dell’arte!

 Semplice come bere un bicchier d'acqua                                                            

Cosa accadrà alla scadenza? Come al solito l’Italia, anzi forse sarebbe meglio dire “gli italiani” (visto che i politici, di ogni ordine e grado, e chi ha gestito, a tutti i livelli, questo sistema non usciranno una lira di tasca propria) saranno costretti a pagare una sanzione. “Oltre al danno la beffa” come ha detto Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, “Infatti agli aspetti ambientali si aggiunge, sul fronte economico, la minaccia di pesanti sanzioni per le procedure d’infrazione che scaturirebbero dal mancato rispetto delle direttive”. Eppure, secondo un recente studio dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia, una politica di tutela delle risorse idriche potrebbe avere ritorni positivi anche dal punto di vista economico dato che si potrebbero creare oltre 45.000 posti di lavoro. Non solo. Ma pare che le soluzioni per risolvere il problema siano le più ovvie. Basterebbe rispettare il principio che “chi inquina paga”, adottare una tariffazione progressiva che tenga conto delle condizioni economiche e sociali degli utenti, prevedere opportune tasse di scopo e sfruttare i Fondi strutturali europei. Tutte cose facili da realizzare, almeno in teoria, ma quasi impossibili da realizzare praticamente in un Paese come l’Italia, dove i Fondi strutturali non vengono utilizzati (e spesso tornano a Bruxelles), dove chi inquina quasi mai paga per i danni  prodotti e dove gli utenti troppo spesso sono costretti a pagare anche per quello che altri (che ormai stanno diventando la maggior parte) non paga. Risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico, se solo lo si volesse, sarebbe semplice. Semplice come bere un bicchier d’acqua……..sperando che non sia inquinata. 

 L'ennesima scusa per espropriare i cittadini della loro acqua?                   

Ma si sa – aggiungiamo – il controllo delle falde acquifere, ovvero l'ago della bilancia che fu usato come scusante nel 2011 per scatenare la truffa dello spread-rating nell'Eurozona e privatizzare tutto il privatizzabile, fa gola a molti, troppi falchi internazionali. Che questi sprechi iper-propagandati dai media non siano l'ennesima scusa per espropriare i cittadini di uno dei beni più preziosi creati da Dio: l'acqua.

C.Alessandro Mauceri (Copyright Qui Europa © 2014 ) 
 

 

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