Obsolescenza Programmata – Nascita ed Evoluzione della Scienza dell’usa e getta

Mercoledì, Aprile 10th / 2013

– L'approfondimento di C.Alessandro Mauceri – 

Obsolescenza programmata, Scadenza della garanzia, Edward Filene, prodotti “usa e getta”, Phoebus, Stephan Schridde, Christian Kleissn, Bernard London, deterioramento della qualità, Dupont, Apple, Serge Latuouche, e-waste, Eisenhower, Schridde, Kreiss, Settore dell'abbigliamento, Dupont, Nylon, collant Dupont, Sorbona, Parigi, Teoria della Decrescita Felice, Consumismo, Materialismo, UNEP, Mercati cinesi 

Obsolescenza Programmata – Nascita ed

evoluzione della Scienza dell'usa e getta,

da Filene ai Giorni Nostri

Ecco come le Multinazionali, le Sentinelle del Liberismo

ed i profeti del consumismo lucrano sulla pelle dei popoli

Assuefatti alla "dolce fragranza consumistica": l'inganno

dell'Obsolescenza Programmata

 

L'Approfondimento di C.Alessandro Mauceri

Evolution Program Obsolescence

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Boston, Berlino, Parigi, Washington – A tutti, almeno una volta nella  vita, è capitato di rimanere sorpresi dal fatto che un prodotto, un frigo, una lampadina, un telefono cellulare (poco importa) si fosse guastato poco dopo la scadenza della sua garanzia, rendendo in questo modo necessario l’acquisto di un nuovo prodotto dato che spesso la riparazione del precedente avrebbe comportato costi troppo elevati o tali da non giustificare la riparazione. Ebbene, questo evento pare non sia dovuto alla sfortuna e alla cattiva sorte. 

 La Storia dell'usa e getta – Da Filene a Phoebus 

Agli inizi dello scorso secolo, Edward Filene, magnate dei grandi magazzini di Boston, si chiese come sarebbe stato possibile contare sempre su un flusso permanente e crescente di consumatori. La sua risposta fu: “Vendendo prodotti usa e getta!”. Fu così che fecero la loro comparsa sul mercato delle camicie i polsini e i colli da cambiare. Quello fu solo il primo passo. Nel 1924, i produttori di lampadine si accordarono in gran segreto per produrre luci che durassero al massimo mille ore. Nacque Phoebus, il “cartello” mondiale delle lampadine, fatto per spartirsi il mercato delle lampadine elettriche. Agli ingegneri fu ordinato di progettare e realizzare filamenti più fragili, e in pochissimo tempo la durata media delle lampadine in commercio scese da 2500 a 1500 ore. Furono scoperti ma, ancora oggi, la proibizione a limitarne la vita utile non è mai stata messa in atto.

 La Scienza dell'Obsolescenza Programmata 

Studi  condotti in Germania da  Stephan Schridde e dal professor Christian Kleiss, della facoltà di economia di Aalen, hanno dimostrato che la stragrande maggioranza, per non dire la totalità, dei prodotti, vengono costruiti non per durare all’infinito (cosa del resto impossibile essendo soggetti ad usura), ma nemmeno per durare “il più  a lungo possibile”. Si sta diffondendo sempre di più quella che gli economisti chiamano "obsolescenza programmata". Il termine venne utilizzato per la prima volta nel 1932 da Bernard London. London dava la colpa della depressione economica ai consumatori che, disobbedendo “alla legge dell’obsolescenza”, continuavano ad utilizzare la loro vecchia auto, le vecchie radio, i vecchi vestiti per un tempo più lungo di quello stimato dagli esperti. Ciò avrebbe causato un rallentamento nella crescita dell’ economia. Fu così che, i produttori, per poter vendere un numero maggiore di prodotti, cominciarono a costruirli inserendo, al loro interno, alcune componenti elettroniche o meccaniche di qualità scadente, la cui durata era limitata nel tempo in modo da indurre il fruitore ad aggiustare (cosa che avviene raramente, dato che, ogni volta ci si  sente ripetere dal tecnico: "per questa cifra non conviene riparare, meglio acquistarne uno nuovo”) o a comprarne un'altro. Secondo Schridde e Kreiss "l'obiettivo è la massimizzazione della rendita di capitale. La strategia del deterioramento della qualità dei prodotti viene alla fine premiata dall'aumento degli utili". 

 Furbata Dupont – La Tentazione… del "collant" 

Anche il settore dell’abbigliamento subì la stessa sorte. Nel 1940, il colosso industriale Dupont lanciò sul mercato una fibra sintetica dalla straordinaria robustezza, il nylon. Il Nylon venne subito adoperato per produrre calze da donna, ma dopo un primo boom, le vendite subirono un vistoso calo. Ciò fu dovuto non al fatto che non piacevano più le calze di nylon, ma al fatto che erano così resistenti che loro durata (o, in termini più tecnici, la loro “vita utile”) era molto lunga e, quindi, non c’era bisogno di comprarne di nuove. Gli ingegneri della Dupont furono invitati a modificare le quantità di alcuni additivi che proteggevano il polimero dai raggi UV, rendendo le calze più fragili e quindi soggette a rottura. In questo modo la vita utile del prodotto era decisamente più breve con grande gioia per la Dupont stessa, per le imprese che producevano calze di nylon e per lo stato che incassava maggiori tasse. Unici a non godere di questa decisione furono gli acquirenti.

 La Tentazione… della "Mela" 

In realtà questo è ciò che accade ancora oggi. Nonostante nel giro di pochi  anni  abbia conquistato il mercato, uno dei prodotti di punta della Apple, una tra le maggiori imprese del settore, è stato costruito in modo che la sua batteria (tipicamente uno dei componenti che più velocemente si deteriora e che potrebbe facilmente essere sostituito) fosse non separabile dal resto dell’apparecchio. Ciò costringe l’utente a sostituire tutto il prodotto e diventare di nuovo “acquirente”. Per questo motivo alcuni clienti hanno avviato una class action e citato per danni la Apple. La vertenza si è conclusa con un indennizzo agli utenti, l'apertura di un servizio di sostituzione delle batterie e l'elevazione della garanzia a due anni. Una vertenza analoga è stata intrapresa in Brasile, sempre contro il colosso Apple, per il passaggio dalla terza alla quarta versione dell’Ipad. Unica novità dei nostri giorni è stato il fatto che spesso le imprese adottano tecniche più “sofisticate” per rendere obsoleti i propri prodotti. Ad esempio, nelle stampanti di una certa marca si è scoperto un chip che era programmato per bloccare il funzionamento dopo 18000 stampe. E ancora, molti elettrodomestici o apparati elettronici sono assemblati in modo che l'utilizzatore non sia in grado di aprirli per tentarne una riparazione.

 Assuefatti alla dolce "fragranza consumistica"  

In realtà, le azioni di propaganda e la scarsa attenzione da parte di chi gestisce la cosa comune (che beneficia economicamente grazie a IVA e tasse pagate delle imprese di ogni singolo acquisto) hanno fatto sì che ormai questo fenomeno consumistico sia considerato addirittura “normale”. Il problema non era, e non è, legato alla mancanza di conoscenze tecniche che permettano di produrre oggetti dalla vita utile più lunga, ma dalla volontà di favorirne l’invecchiamento e quindi la sostituzione. A dimostrazione di ciò nella Germania dell'Est, fino a poco prima della caduta del muro, per legge i frigoriferi e le lavatrici dovevano durare per almeno 25 anni. Ed effettivamente la loro vita utile non era inferiore. Oggi la vita utile degli elettrodomestici si è ridotta drasticamente. Una società industriale – ricorda Serge Latuouche, professore emerito di economia dell’Università Sorbona di Parigi: e – come detto in precedenti articoli – padre dell'ingannevole Teoria della Decrescita Felice (vedi articolo in allegato – Ecco perchè non crediamo alla teoria della Decrescita Felice) – entrerebbe in crisi se, una volta saturati i mercati, gli oggetti non venissero sostituiti con una certa frequenza. In questo concordiamo in pieno col professore. Quindi, si fa ricorso a prodotti la cui vita utile sia minore e si evita di produrre oggetti durevoli o facilmente riparabili. Nel frattempo, mirate campagne di marketing fanno in modo che un bene improvvisamente venga percepito come “non più sufficiente” agli occhi dell’acquirente che, anche grazie a campagne di marketing che prevedono condizioni particolarmente vantaggiose per l’acquisto, rendono facile per l’industria far sì che la vita utile di un oggetto si riduca notevolmente.

 Consumismo e Impatto Ambientale 

Inutile dire che questo sistema di gestire il mercato ha, per contro, conseguenze rilevanti in termini ambientali. Produrre oggetti sempre nuovi, comporta enormi costi in termini di consumo e spesso, spreco di materie prime. Inoltre l’inquinamento ambientale aumenta considerevolmente per il fatto che la stessa produzione viene effettuata più volte del necessario. E non basta. La necessità dell’industria di mantenere elevati consumi genera una enorme quantità di rifiuti derivanti, oltre che dagli scarti di lavorazione, dal fatto che oggetti dalla vita utile ridotta sono spesso anche di scarsa qualità e quindi sempre più spesso finiscono per aumentare la quantità di rifiuti solidi urbani prodotti e i costi per la loro gestione. Basti pensare ai cosiddetti e-waste, i rifiuti elettronici, il cui accumulo è diventato un fenomeno preoccupante tanto da indurre l’UNEP ad avviare  uno studio per stimarne con precisione la quantità. Dai risultati è emerso che, spesso, gli apparecchi dismessi finiscono nei Paesi sottosviluppati, ammassati in gigantesche discariche a cielo aperto, dove i ragazzini delle famiglie più povere si intossicano di diossine e altri veleni bruciandoli per ricavarne tutto il metallo possibile, da vendere per qualche soldo. (vedi Video in allegato)

 La Ricetta di Eisenhower e delle nuove sentinelle del capitalismo 

Si dice che, quando che negli anni Cinquanta domandarono al presidente degli USA Eisenhower cosa dovevano fare i cittadini per combattere la recessione, lui rispose: “Comprare…. Qualsiasi cosa”. Fu in quei tempi che si diffuse uno spot che proponeva una formula contro la disoccupazione: “Un acquisto oggi, un disoccupato in meno domani. Potresti essere tu!”. Come sostenuto da Stefan Schridde e Kreiss: "L'obiettivo è la massimizzazione della rendita di capitale. La strategia del deterioramento della qualità dei prodotti viene alla fine premiata dall'aumento degli utili". E questo, in un sistema basato sul capitalismo e sulla crescita degli utili a tutti i costi è l’unica cosa che importa. Per contro i profeti della decrescita felice continuano a proporre quale panacea ai mali del mondo la "decrescita economica" al proletariato (per altro già pesantemente condizionato dalli crisi programmate ed indotte) a suon di nuovi sacrifici spacciati come "progressi" in chiave ecologica. Questo, senza ovviare alla reale radice del problema: il liberismo e l'accentramento dei grandi gruppi industriali sulla pelle dei poveri.

C.Alessandro Mauceri (Copyright © 2013 Qui Europa)

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